mercoledì 27 marzo 2013

Il fissatore.



Non  è un oratore, non è uno scrittore, non è un uomo politico di razza. Il suo linguaggio di concionatore è, come si dice volgarmente, “una pizza” è trito, mediocre, inzuppato di luoghi comuni, privo di originalità stilistiche o lessicali, fosse pure di ricalco, banali e princisbecchiane.  La sua prosa è terra terra, cinerea e arida, prosa di ginnasiarca scadente.
Come uomo politico ebbe a suo tempo una breve stagione,  che chiuse senza infamia, ma senza epicedi degni di memoria, senza provocare rimpianti, senza lasciare speranze, promesse, preconii di ritorno.
Uno che non si è rassegnato alla rovinosa caduta e alla pesante batosta elettorale impartitagli: covando e realizzando propositi di rivalsa con asburgica volontà di potenza, abbandonandosi sotto una gentilonesca  compostezza di tipo inglese.  E tuttavia condannato a ritenere definitivo il proprio tramonto di finto capo, di conducente del sgangherato carrozzone, di mediatore, di esponente, trascurato nelle stagioni di ordinaria amministrazione, di sornione tollerante, ignorato dal suo partito e relegato ad un ruolo di rappresentanza.  Il suo mentore al primo fil di fumo della baracca, ai primi strilli di gazzarra municipale si galvanizza, sprizza scintille, s’affaccia, per ragioni di parentela,    ad ogni tribuna televisiva improvvisata. Sotto quella fronte pensieri si traducono in messaggi e profezie da passionario. Si direbbe che il nuovo Elia dovesse essere da un momento all’altro rapito nei cieli della città, sul suo carro avvolto da tetri bagliori di fiamme. Ma si tratta soltanto di un procellario  che batte stanche ali lungo la rotta di un truce bastimento.
Mentre Lui, il candidato, sepolto nella sua leggenda, catafratto nel suo mito, si è costruito un monumento, nel quale si ammira, nel quale adora se stesso. Il suo mentore torna a lanciare messaggi, profezie e ultimatum, reclama la disperazione, il bando degli avversari politici dalla vita civile delle libere competizioni, egli abituato a più alti e importanti lidi, che postulano riposi mentali e accensioni tribunizie di piazza, isterismi comiziali e scomuniche.   Riesce a raccogliere un gruppo di neo-democristani per fare da puntello al candidato, mettendo assieme un codazzo fatto di politici politicanti capaci di tutto. Falsifica l’anagrafica politica, contrabbandando il vecchio o meglio l’antico, come nuovo di ritorno. Svende con disinvoltura l’ultimo scampolo d’ eredità ai transfughi  neo-democristiani,  per  assecondare la vanità e l’amor proprio di qualcuno, che poi in fin dei conti non è nessuno.
Rasputin

martedì 26 marzo 2013

Favole della Giungla Randazzese.



Strani giorni seguirono all'incontro avvenuto nel Paese delle steppe fra il villico Gorilla e l'Orso Siberiano.  Il Formichiere, che del primo era suo suddito servile, molto si agitò e predicò per convincere i neofiti abitatori della Giungla, delle pacifiche intenzioni dell'Orso e della buona e salda amicizia che ormai lo legava al Gorilla.
Ma i neofiti abitatori della Giungla per quanto ingenui, non erano fessi. Ben lungi dunque, dal dare credito al Formichiere, messaggero delle proprie opportunistiche speranze, si accinsero ad aspettare gli eventi, sì che questi, in qualche maniera, potessero confortare l'ottimismo di quelli che sognavano l'Orso siberiano alleato zelante e disarmato del Gorilla, oppure convalidassero il pessimismo di coloro i quali, a causa della giovane età, e aggiungiamo non senza ragione, paventavano e valutavano i rischi di una siffatta alleanza.
Nulla accadde, nei primi tempi dopo lo storico incontro, che potesse dare ragione agli uni o agli altri ma alla lunga si dovette prendere atto di un certo distacco mostrato dagli amici dell'Orso verso i sudditi del Gorilla. Quest'ultimi si resero conto che le cose non andavano secondo quanto invece loro ripetutamente assicurato, il giorno in cui i seguaci dell'Orso siberiano incominciarono ad agitarsi e cercare approdo verso altri lidi. Fu questo fatto che li indusse a scoprirsi e a far intendere anche a quelli che ancora non l'avevano capito, che il branco dell'Orso siberiano insensibile ai desideri del Gorilla non poteva più godere della loro riverenza.
Ebbe così inizio lo smarcamento tattico che vide schierati da un lato il Gorilla e gli animali che sino a quel giorno l'avevano avversato per la pericolosa sua indulgenza verso i servi dell'Orso, e dall'altro appartenenti a questi ultimi le bestie più diverse: il bavoso Lumacone, la Puzzola, i Vermi, molti Pecoroni notabili, il Pavone.
Sino a poco tempo prima, i membri di questo branco eterogeneo avevano ostentato una rispettosa obbedienza al dictat dell'Orso siberiano, benché alcuni di loro gli avevano mostrato una vivace ostilità, proprio per quel suo indulgere alle teorie del Gorilla; ma che non fosse questo il motivo di tanto rancore lo si vide proprio quando il gruppo capì di essere diventato un branco di complemento dei servi del Gorilla. Molti allora capirono che uno solo era lo scopo che muoveva tante bestie: la voglia del potere, con relativa divisione dei ricchi prodotti della Giungla.   L’ incredibile alleanza fra il gruppo dei Vermi, del Lumacone, della Puzzola e di tutti gli altri più sopra elencati, con gli animali sino a ieri considerati nemici da combattere, dette il via ad una sorta di disorientamento  da far tremare i polsi al Formichiere.  Per cercare di rinsaldare i legami, i sudditi del Gorilla con a capo il Formichiere passarono dalle parole ai fatti; passaggio che, alla maggioranza degli abitatori della Giungla, parve stranamente facilitato da quel branco di bestie della specie più diversa ma tutte affamate di potere.
"Bisogna abbattere il governo del Giaguaro", farfugliò il Formichiere: "Bisogna abbatterlo!", fece eco il Gorilla, "Abbattiamolo!" fecero tutti gli altri; e per dar colori nobili ai loro bassi rancori ed ai loro interessi personali, tutte le bestie che facevano parte della nuova sacra alleanza trovarono un motivo sfruttatissimo: la lotta contro i fantasmi di una classe dirigente già sepolta da tempo. Si estraneò la Puzzola, decisa ormai ad appestare l'intera Giungla.
In quel preciso momento abbaiarono più forte i cani. Eran una razza di vecchi cani. I quali ringhiarono ferocemente contro tutti quelli che erano contrari al Formichiere. Mentre raccontiamo questa favola nella Giungla randazzese la battaglia è ancora in corso. Si mormora che la Puzzola appestatrice sarà levata sulle code fino al posto di comando; si sussurra che sta per venire l'era del Lumacone. Di questo avviso non sono però i servi del Gorilla i quali vorrebbero schiacciare Vermi, Pavoni, Vipere e Lumaconi per fondare una Giungla nella quale regni il Formichiere. I Pecoroni notabili bofonchiano che ciò non è possibile, ma lo dicono solo per farsi forza, per non sentirsi responsabili e per non perdere la faccia.
Soltanto i vecchi cani abbaiano sempre più forte. Paghi di avere conquistato, nella lotta, la Libertà di sottocoda, sfogano il loro gaudio e fissano cupidamente le giovani prede, che nessuno oserà loro contestare.  Mentre da parte del Giaguaro nessuna reazione, ma ad alcuni questo non parve un segno di debolezza o di resa, bensì di resistenza. Ma in questa resistenza passiva fidano i suoi numerosi nemici. Il Giaguaro sarà sconfitto, e andrà via con annesso pianto sulla porta di casa.  La sconfitta del Giaguaro sarà causata dai suoi stessi ex pupilli e dai suoi interessati nemici, ma si troverà in molta compagnia. 
La favola è dunque incompiuta, ma anche così com'è contiene una morale: non sempre i Giaguari sono come li vorrebbe il villico Gorilla, a meno che la vecchiezza non li renda trepidi e cauti sino alla resa. Altre morali ancora possono scaturire da questa favola incompleta: guardatevi dai giovani di ritorno e da certi branchi che fingono d'operare nella difesa della Giungla, soltanto per riempirsi il ventre dei prodotti della Giungla. E se anche il Gorilla e il suo fido Formichiere non vi convincono del tutto, aspettate la conclusione della favola, prima di cedere alle Puzzole e ai Vermi. Aspettate perché la favola non è finita e benché questi siano tempi da Cani e da Puzzole, non è detto che la gran maggioranza degli abitatori della Giungla sia rassegnata a farsi appestare dagli ideali fasulli, paralizzare dalle bave dei Lumaconi e atterrire dalle minacce del  Gorilla. La favola infatti, continua.
                                                                                                                              Rosso di sera