giovedì 31 dicembre 2009

IL BRINDISI DI GIRELLA



Vogliamo chiudere l'anno con una poesia che il grande poeta Giuseppe Giusti dedicò al Talleyrand e che tanto si adatta ai tempi presenti. Nella speranza che se in essa qualcuno dovesse riconoscersi, non l'abbia a prenderla troppo a male.

mercoledì 23 dicembre 2009

IL CONFORMISMO.


Tra le malattie dell'animo umano il conformismo è senza dubbio il più attuale e preoccupante.
E' un tarlo del carattere che mina seriamente la dignità di ogni essere umano; di cui si deve parlare con delicatezza per non umiliare le creature che ne sono affette e non posseggono gli anticorpi necessari per espellerlo: un'epidemia divenuta endemica non solo nella nostra città, ma nell'Italia intera. Una malattia insidiosa, tentatrice e avviluppante.
Si diviene conformisti per adesione ideologica, per passione, per adattamento, ma soprattutto per convenienza. La forma più grave è il conformismo per convenienza, che è come vendere l'anima.
Dicevo che ci vuole delicatezza a parlarne, ma anche coraggio, perché è raro esserne mondi del tutto e anche per carità cristiana nei confronti del prossimo che va in giro con questa malattia, di cui talvolta non è cosciente.
Il servilismo politico ha generato il conformismo del giorno per giorno, adesioni non disinteressate e precarie, che hanno la maschera della fedeltà verso personaggi in carica. Vedremo cosa resterà dell'adorazione incondizionata verso gli Dei brontesi il giorno in cui questi cadranno. Saranno i loro amici ancora cosi amorevoli e servizievoli? O li dimenticheranno ipso facto per correre verso i nuovi Dei che nel frattempo ne avranno preso il posto? Oggi sacrificano sull'altare di un conformismo tornacontista gli interessi della città. L'opporsi e anche l'indifferenza, la quale implica semplice dissenso, sono divenuti atteggiamenti temerari e costosi che conducono all'ostracismo dalle comuni relazioni umane.
La strada della piccola storia della nostra città è oggi attraversata da amministratori che camminano sotto il vessillo di un conformismo che utilizza parole ingannatrici o trappole. Parole contraddette dalla realtà, basta vedere la vita sociale ed economica che pullula, intrisa di dinamismo economico nella vicina Bronte. E' un conformismo che diventa idea e l'idea diventa un partito (PDL), che nonostante i propositi di purezza favorisce affari, clientele e prebende.
Il conformismo è anche un tessuto di interessi, che se attaccato serra le proprie fila, si difende e contrattacca con la sua struttura difensiva e i suoi veleni molluscolari.
Il conformismo diventa un regime che avvolge e coinvolge dal più semplice dei cittadini al prete che accoglie con uno scampanio l'elezione del Sindaco, scambiando l'esito di una consultazione elettorale con la conclusione di un conclave che elegge un nuovo Papa.
Può sembrare che il conformismo praticato da alcuni uomini e donne, che costituiscono l'asse portante del tessuto sociale cittadino sia una cosa anomala. Ma le legge della convenienza e dell'adattamento e tanto diffusa e ritenuta giusta, anzi normale, che nessuno si avvilisce facendo quello che la maggioranza fa.
Chi dissentendo, ha tentato di opporvisi, ha soltanto potuto accendere fuochi fatui da cimitero, seguiti da quella luce effimera ed illusoria, che da essi promana.
Essendo questo uniformarsi divenuto modus vivendi di molti, chi appartiene al centro-sinistra e non si adatta o tenta di reagire è da alcuni evitato come persona inopportuna e guasta, anche se parla o scrive per adempiere ad un dovere della coscienza. Buon per lui se, oltre questo bando sociale, non venga perseguitato in Corte per non aver taciuto e per aver disturbato affari e disegni.
Ma c'è una via d'uscita ed è l'unica possibile.
L'alternativa al conformismo può nascere da una forza politica nuova e diversa, che partendo dall'esperienza cittadina, anche di governo, del centro sinistra, sappia trasmettere una nuova idealità fatta di contenuti civici e culturali, tali da sostituire il conformismo, riducendone le impurezze entro i limiti non eliminabili dei rapporti umani.
                                                                                                                              

PECCATO DI VOTO



                            Parte prima
                (meditazioni metafisiche)
Sordo al monito di parenti ed amici e ribelle a qualsiasi richiamo della ragione. Con premeditata fermezza, senza tentennamenti, alle elezioni amministrative del 2008, ho tracciato un segno di croce sul simbolo del PDL.
Ho peccato, è grande il senso di rimorso che provo; un gesto errato che è forse il sigillo della sentenza che ha condannato la mia anima alla dannazione eterna. Poiché sacrilega sarebbe la speranza di una celeste amnistia per i “peccati di voto”, non mi rimane dunque che aspettare l'ora dell'estremo Giudizio, raccogliendo umilmente tutti quegli elementi a discarico che potranno forse salvarmi dalle fiamme eterne.
L'imputazione di cui dovrò rispondere, sarà presumibilmente quella di avere cercato di favorire l'avanzata dei “potenziali dissolvitori della città” e peseranno su di me testimonianze severe. Come potrò davanti all'altissimo Giudice negare la dovizia delle occasioni di salvezza che mi furono offerte?
Mi concederanno, le norme procedurali del processo, l'ausilio di un collegio di difensori, capaci di autorevolmente opporsi alle voci dell'accusa? Soltanto in ciò è la mia speranza, poiché in tal caso, potrei affidare le sorti della mia anima ad alcuni eccelsi patroni, gli argomenti dei quali suonerebbero severamente soprattutto contro i miei accusatori.
Ma certamente, dopo così nobili e magistrali parole di difesa, espresse dai miei patrocinatori, la mia anima lascerebbe il luogo dell'estremo giudizio alleggerita da quel peccato di voto, che tante tribolazioni mi ha procurato.
Comunque sia, la fiducia nell'ultimo giudizio è, per un “peccatore elettorale” d'insostituibile e grande conforto. Forse non altrettanto confortati e non altrettanto impazienti di affrontare il medesimo giudizio, sono invece tutti coloro, che irriducibili nei loro propositi, fermamente credono, errando, e non fanno ammenda leggendo quanto da me narrato.
A questo punto ci si può solo chiedere: le cupe minacce che turbano tante coscienze e la falsa attribuzione di infami intenzioni agli uomini di gruppi politici di parte non PDL, potranno forse trovare la scusante della buona fede e l'errata convinzione di servire la Verità è un completo lavacro di ogni colpa? A questa domanda, un Principe della Chiesa diede una severa risposta: “ Et si habuero omnen fidem ita ut montes transferam, caritatem autem non habuero, nihil sum.” Se mancassimo di carità verso i fratelli erranti noi finiremo col perdere quella superiorità che a motivo della Fede abbiamo su di loro.

                                                          Parte seconda
                                                 (meditazioni pragmatiche)
Di nuovo rotoliamo nelle illusioni di un tempo. Nessuna esperienza ci giova (il n'y a pas a proprement parler, d'expérience de l'histoire). Come nove anni fa viviamo soltanto di parole. Certo: ogni tempo ha le sue parole; ne rispolvera di vecchie, ne inventa di nuove, ne cancella, ne accoppia, ne scorda. Le parole servono, soprattutto in campagna elettorale, per essere sventolate come bandiera al vento, per poi servire subito dopo a lustrare gli ottoni del potere.
Il repertorio dei grandi miti è racchiuso in poche parole; ma noi oggi non crediamo più in nessuna parola. Le parole che ci propinano i nostri amministratori sono soltanto simboli di una retorica spenta, inutile. Le parole, sono oggi, residui di una vecchia ed ingannevole oratoria sentita e risentita; sono galloni, trofei, elementi decorativi, ornati, capitelli che non reggono architravi.
In un tempo che si professa razionale, altamente tecnologizzato e fortemente scettico; in un tempo tanto felice delle proprie conquiste pratiche, si assiste, da parte dei nostri amministratori, al comico impiego delle parole più retoriche.
Il livello culturale è sceso così in basso, che le parole più fruste e senza significato preciso, purché sonore, sembrano nuove di zecca e seducono i più.
La lusinga continua e il bisogno di tanti, creano terreno fertile alla parola che falcidia le coscienze e corrompe le menti di tanti nostri concittadini.
Si usano le parole per porre in essere sofismi, atteggiamenti mentali sprezzanti, fittizie esigenze dei più che servono per ricattare i pochi che dissentono. La vita cittadina oggi rispecchia questa disgraziata, misera, comica situazione. Tutto ciò che succede è opera di questi piccoli rapaci, senza idee, che vivono alla giornata, a orecchie diritte, sospettosi, pronti ad ogni compromesso, ad ogni onta. E quale mezzo migliore si offre loro di quello delle parole per illudere, creare aspettative, farsi credere amici? Essi non hanno alcuna cultura da custodire sono figli di quel partito di plastica, prodotto, ben confezionato e reclamizzato che si chiama PDL. Essi non debbono difendere che le cariche, i guadagni; sono borghesi ma non accettano i limiti della loro classe, se il caso lo richiede si travestono da progressisti, ma concepiscono solo il progresso a vantaggio proprio. Uomini senza ricordi, senza obblighi sociali, senza fantasia, vivono di parole, abusano delle parole. Essi usano parole che hanno un suono minaccioso, un peso retorico, un accento mistico solo per giustificarsi.
Il richiamo continuo agli amici altolocati, alle aderenze importanti, è soltanto un fumetto, è un modo di raccogliere consensi in maniera facile, facendo finta di assecondare ciò che va assecondato: e un modo di far sembrare facile quel che non può essere facile; quello che per essere realizzato richiederebbe altre energie, altri uomini, altre idee, altri altruismi, altra visione della vita e della realtà. Il tutto è una vile maniera di illudere i più a loro danno. E i più credono di progredire, soltanto perché ad essi ci si appella.
Ecco perché, il mio voto dato al PDL deve essere considerato come uno di quegli ortaggi che si lanciavano agli attori mediocri che calcavano i palcoscenici dei teatri sgangherati di provincia, e che non avevano la capacità né di fare ridere e né di fare piangere.
                                                                                                                                           

SENZA PIU' ILLUSIONI

Non facciamoci molte illusioni: accade sotto i nostri occhi qualcosa di irrimediabile che ci trascina alla rovina. Tutto si svolge nel modo più consueto, come nel 2000, 2001, 2002 e 2003; navighiamo in un mare placido, seduti in coperta a guardare i gabbiani, ma c'è un cadavere nella stiva.
E' la città di Randazzo.
Noi non sappiamo più cosa sia una cittadina come la nostra, lo abbiamo scordato, abituati a una fatalistica rassegnazione, a un lento tramonto.
La decadenza della città sembra senza rimedio, Del Campo Sindaco disse in campagna elettorale di avere un progetto per rilanciare Randazzo e lo scrisse pure, stilando un programma politico-amministrativo su carta patinata, distribuito o meglio imbucato nelle cassette delle lettere di tutte le case del paese.
Che fine hanno fatto i suoi sostenitori: quelli  pieni di entusiasmo e passione, che lo hanno corroborato chiedendo, come questuanti, il voto a tutti per il loro magnifico candidato; quelli che con la macchina continuavano a girare per le vie del paese anche dopo la vittoria, strombazzando quel motivetto stupido (l'inno del PDL), fino alla noia? Dove sono finiti, i vassalli, i valvassori e i valvassini, che si fregiavano di essere tali in campagna elettorale. Costoro forse non esistono; costoro si materializzano solo durante la campagna elettorale o costoro vivono ma non contano. Essi sono ombre, ombre che hanno paura di ogni ombra, che vivono nell'ombra. Non hanno il pudore di chiedere perché non si fa quello che è stato promesso in campagna elettorale, e se quanto è stato scritto è lettera morta, una presa in giro colossale per giungere allo scopo: cioè agguantare il potere.
E così i giorni passano malinconicamente, e tutti, bene o male, si acconciano a vivere alla giornata, senza più impegno, come servi di un padrone bonario che non chiede mai conti, che chiude un occhio, che si accorge appena di loro. Solo dal centro sinistra si levano voci contrarie, a volte disperate. Con la disperazione di chi capisce che la nave galleggia, procede lenta, è vero, ma non ci sono tempeste. Le vele sono molli, ma si naviga e ci si accontenta. Non abbiamo piloti, nessuno sa tenere il timone, le corde si aggrovigliano sul ponte, ondeggiamo senza rotta, ma dalla cambusa esce l'odore di una buona zuppa. Perché agitarsi?
La Provvidenza provvede: cosa importa se nella stiva c'è il cadavere della città?


IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI.




Il nostro signor Sindaco ed il gruppo consigliare PDL, che rappresenta la maggioranza assoluta del Consiglio Comunale, ha deciso di manomettere piazza Loreto, per realizzare una bambinopoli.
Ora a prescindere della giustezza dell'ubicazione, che è assai opinabile e lo dimostra la mediocrità degli argomenti apologetici sostenuti dal signor Sindaco in Consiglio Comunale: argomenti tutti deboli e poco convincenti .
Tra l'altro la realizzazione di quest'opera crea una disagevole condizione per l'automobilista, che deve fare una serie innumerevole di giri e giretti per costeggiare da una parte all'altra la piazza.
Non era certo difficile trovare un altro sito dove ubicare la bambinopoli, se proprio non se ne poteva fare a meno, viste le tante altre priorità, ivi comprese le strade impraticabili.
Un'idea bizzarra ci sfiora, ma è troppo assurda, comunque se proprio insistete......
Non è che per caso il nostro caro Ernestus Alfonsus Magnificus, in un sussulto di vanità, abbia ritenuto necessario, per essere ricordato dai posteri, di realizzare un opera che resti a imperitura memoria?
Certo la bambinopoli di piazza Loreto non è la bonifica dell'Agro pontino, ma è sempre meglio di niente. E poi, sostengono gli amministratori, non è neanche un'opera che costi molti: per iniziare solo 40.000 euro.
Vedremo se saranno capaci di abbrutire la più bella piazza di Randazzo, che può senz'altro essere definita una delle realizzazioni migliori dal dopoguerra ad oggi.



















UNA STORIA NATALIZIA (ovvero la venuta del messia)


Il Dio della potenza Berlusconiana (Pino), all'inizio dei tempi, predestinò un Messia, da inviare in un paese sotto il monte Spagnolo, che limita con Ciarambella e Murazzorotto.
I cittadini del villaggio attendevano da molto tempo la venuta del Messia, perché, si diceva , era tanto miracoloso.
Un bel giorno, quando il popolo aveva ormai perso le speranze, venne a nascere già maturo, nella mangiatoia di una grotta Comune. Appena nato cercò di fare qualche miracolo. Il popolo, saputo dai Profeti che il suo arrivo avrebbe risanato le ferite che altri non erano stati capaci di guarire, era impaziente di vedere all'opera il Messia. Egli con una serie di prodigiosi miracoli, avrebbe liberato il villaggio ed i suoi abitanti da tutti gli affanni che li opprimeva.
Un giorno di venerdì quando nessuno se lo aspettava, compì il miracolo dei miracoli. Si recò inanzi al cimitero e in un sol colpo risuscitò tutti coloro che, morti da oltre cinquant'anni, non avevano parenti in condizione di corrispondere l'obolo richiesto. E come il buon Lazzaro, i resuscitati felici e contenti, lasciarono i loro sepolcri per far posto ad altri.
Passarono i giorni e nel suo piccolo si sentiva grande. Essendo grande volle conoscere i limiti del villaggio, si diresse allora verso Ciarambella e li alzando gli occhi vide degli enormi mostri piantati sulle montagne fermi, immobili. Creature orribili, che nessun essere umano avrebbe mai immaginato: costituiti da un enorme palo, con posta alla sommità una grande elica.
Il Messia si avvicino e vide che nulla producevano, indi li maledisse e le pale non produssero più nulla per l'eternità; poi chiamò a convegno gli amici e comunicò loro l'anatema lanciato. A quel punto si rivolse al Dio Pino e chiese aiuto per avere cospicui risarcimenti a causa del danno ambientale patito.
Ma purtroppo la preghiera inascoltata restò, perché Dio Pino tra esclusioni dall'olimpo regionale e consultazioni comunali, aveva ben altro da pensare.
Ed allora al Messia non restò altro che cantare e la croce portare.
                                                                                                                   Rasputin
                                                                                   

PANDARO, ovvero del ruffianesimo.




Per indicare la funzione del ruffiano ogni lingua civile ha parecchie parole, il che significa che essa ha parecchi aspetti e ha destato un largo interesse del popolo che da vita alle lingue. A parte i nomignoli, i termini del gergo, le voci dialettali, le allusioni letterarie in italiano le parole mezzano, procuratore, lenone. Quest'ultima è di origine umanista ed è rimasta in uso nei codici legislativi. Dante adopera una parola che ho usato nel titolo. Quella di procuratore viene raramente adoperata da sola, perché ha preso altri significati civilistici (avvocato, mandatario ecc. ecc.). In Inglese il ricordo umanistico di un personaggio omerico ha lasciato la parola pander (da Pandaro il procuratore di Criseide nell'Iliade ma visti attraverso gli scritti di Bocaccio e di Chaucer).
E' inevitabile che tali termini siano sempre collegati con il potere e la sua gestione, costituiscono in sostanza una sorta di deleterio conformismo, del quale anche nel nostro piccolo mondo abbiamo esempi lampanti.
Qualcuno si chiede e ce lo chiede con una certa insistenza, perché non vi fatte i casi vostri, invece di disturbate il Manovratore: ma che risultati volete ottenere:
Non certo quello che i padri e i nonni, e magari gli zii ed i fratelli maggiori prendano le giovani generazioni da parte e parlino loro di De Gasperi, Nenni, Saragat, Pertini, Ugo La Malfa, Giovanni e Giorgio Ammendola, Berlinguer, Aldo Moro, Benigno Zaccagnini (l'onesto Zacc), della tradizionale onesta del buon governo, della città di Randazzo sobria e pura degli anni cinquanta e sessanta, di magiare pane e onore. Dio ne liberi! Il discorso che in nove casi su dieci (e più) viene fatto, deve essere all'incirca così: “Mettiti con quelli del PDL o al massimo con quelli dell' MPA, figlio mio, li può sempre uscirci qualcosa. Vota per loro, vota per loro, e faglielo sapere; se hai modo, fortuna è fatta”.
E il problema è quello di trovare l'amico buono, quello che ha le entrature giuste e figura fra i più meritevoli e fedeli del potente di turno.
Purtroppo il postulatore non sa che noi siamo fatti così, questo è l' atteggiamento che Tonino ci ha trasmesso e pertanto non ne possiamo fare a meno. Siamo insistenti, crediamo che possa sempre nascere qualcosa di meglio e non demordiamo mai.
Del resto dopo tutti i voti dati al PDL nella nostra città e visti i scarsi risultati, si potrebbe dire: “Voti per loro? Bravo! Non lo capisci che con quelli non c'è da battere un chiodo?” Purtroppo saggezza del poi.

PER LE STRADE DEL MONDO



Le immagini che vediamo non riguardano una via di Kabul o Beirut, ma della nostra città e precisamente la via Luigi Capuana; esse costituiscono l’evidente dimostrazione dello stato di totale abbandono in cui ci troviamo. Frutto di un modus operandi trasandato, superficiale, privo di idee e progettualità, che penalizza l’intera città.
Quasi tutte le strade si trovano nelle medesime condizioni, buche e avvallamenti sono ovunque, in alcuni casi mancano i tombini: creando un pericolo per l’incolumità dei pedoni.
Adesso pare, che grazie ad un finanziamento di euro 10.000, si stia risistemando un pezzo della via Cairoli. Speriamo si tenga presente che è pieno centro storico e quindi la pavimentazione dovrebbe essere adeguata e armonizzata con l’ambiente circostante.
Comunque, si suole dire se son rose fioriranno; nel frattempo Ernesto Alfonso il Sindaco farebbe bene a pensare dove reperire i fondi per fare gli interventi più urgenti, che riguardano casi come quello sopra ritratto.
Sulla questione della viabilità torneremo in seguito, trattandosi di un paese dove non si registra certo un traffico eccessivo e caotico, purtutttavia un coacervo poco razionale di divieti e sensi unici, crea dei veri e propri labirinti. Complicando la vita all’automobilista e paradossalmente costringendolo ad allungare il percorso, dovendosi districare tra vie e viuzze per giungere al suo luogo di destinazione.
Comunque lascio a voi gli altri commenti sullo stato delle nostre strade e sulla organizzazione della viabilità cittadina.
In ultima analisi voglio concludere con quello che nel preambolo del suo programma scriveva Ernesto Alfonso allora candidato sindaco:
“Una città che guarda avanti!
È questa la Randazzo che vogliamo e questo sarà il nostro obiettivo categorico, affinché Randazzo possa sollevarsi e tornare ad essere nuovamente protagonista come nei momenti migliori della sua storia millenaria.
Randazzo ha bisogno, innanzitutto, di recuperare la sua immagine di Città turistica, attraverso interventi ordinari e straordinari sulle strade interne, sul verde pubblico, sull’illuminazione, sulla segnaletica, sulle aree giochi per bambini e ragazzi, sulla cartellonistica pubblicitaria, sul funzionamento del depuratore fognario, sull’erogazione idrica.”
Forse si comprende adesso il senso dell' espressione una “città che guarda avanti”, potrebbe essere una sorta di celata esortazione per tutti i cittadini affinché stiano bene attenti a dove mettono i piedi, perché con le strade che si ritrovano rischiano di rompersi l’osso del collo.





RISULTATI ELETTORALI DAL 1946 AL 1985

CHE TEMPI!


Assistere, di questi tempi, ad un consiglio comunale è quanto di più stucchevole, noioso ed inutile ci possa capitare. E' lo specchio fedele della infima qualità della nostra classe politica, priva di inventiva, cultura, capacità discorsiva, senso critico e via dicendo. Una classe dirigente che si attorciglia su stessa mettendo a nudo la miope visione che ha della realtà e della vita quotidiana della città. Certamente si dirà che di tutta l'erba non si può fare un fascio, è sarà pure vero, ma usando un'altra frase fatta si dirà che una rondine non fa primavera. Ed invero nulla da eccepire nei confronti di qualche consigliere del centro sinistra (PD), ma alle volte si ricava l'impressione di una voce isolata che grida nel deserto, per il resto è tutto quantomeno insolito. Una anomalia che qui tenteremmo di analizzare senza presunzione e con umiltà cercando di capirne le cause che la generano.
Se potessimo rappresentare su un asse cartesiano la qualità della classe politica dal dopo guerra ad oggi, avremmo sicuramente una linea discendente che ci porterebbe sotto lo zero. Per rendere meglio l'idea pubblicheremo tutti i risultati elettorali dal 1946 al 1985 e in un secondo momento dal 1986 fino ad oggi. Naturalmente non mancheranno i nomi degli eletti e quindi la composizione dei consigli comunali succedutesi nel tempo. Potendo cosi avere dei termini di paragone tra il passato ed il  presente, che verranno facili agli anziani, i quali, pero, ne potranno rendere edotti i giovani.
Tornando ai nostri giorni e analizzando l'inquietante fenomeno, non si può fare a meno di iniziare partendo da una elementare valutazione: è fuor di dubbio che il tasso di scolarizzazione oggi sia enormemente elevato, come del resto ovunque. Questo significa che se facessimo un raffronto con il passato ci troveremmo ad avere molti più diplomati e laureati, che non nei tempi andati. Allora se così è, per come sicuramente lo è, essendo un dato incontrovertibile: come mai chi ci rappresenta non è la conseguenza di ciò, ma anzi il suo esatto contrario. L'assunto è facilmente dimostrabile semplicemente guardando le apparizioni televisive dei nostri consiglieri comunali: alcuni incapaci di parlare la lingua corrente, cioè l'italiano; altri pur farfugliando qualcosa si esprimono in una forma goffa, approssimativa e incomprensibile ed altri ancora non possiedono le minime cognizioni di educazione civica; quelle che si impartiscono alle scuole medie: facendo una grande confusione su questioni di diritto istituzionale semplicissime, come il ruolo e le funzioni della Corte costituzionale.
Eppure loro sono nel giusto e sapete perché: perché li abbiamo eletti.
Queste sono le regole della democrazia e parafrasando quanto dicevano gli antichi ognuno è fucina del proprio destino; e noi il nostro triste destino ce lo siamo costruito con le nostre stesse mani.
Ma è tutta colpa nostra, cioè intendo del corpo elettorale? A ben vedere no. E vi spiego il perché: in un ambito cosi piccolo, appena 11.000 abitanti, l'applicazione di una legge elettorale come quella attuale é deleteria. Essa non è ne carne e ne pesce, perché abbina il tanto vituperato proporzionale con il maggioritario: considerato il toccasana dei nostri tempi. Così creando una mostruosa normativa, stante che il già ibrido intruglio deve poi essere combinato con la preferenza unica,  facendo  trovare l'elettore imbrigliato tra doveri familiari o di amicizia da assolvere: ed il voto diventa un fatto tribale o di combriccola.
Il secondo elemento che vizia la scelta elettorale, è un male che dalle nostre parti è vecchio come il mondo, si chiama mancanza si serietà ed onesta intellettuale: che si traduce in lusinghe, promesse e millantazioni di ogni specie e natura.
Ma non era il voto che doveva essere una designazione di CAPACITA? e quale capacita si vuole designare quando si vota sulla scorta dei sentimenti familiari o di amicizia o peggio ancora su promesse che mai saranno mantenute? Ma poi chi lo dice che il parente o l'amico, solo per il fatto di essere tale, sia persona capace ad assolvere quella funzione pubblica. Solo una valutazione che parte da una attenta analisi delle capacità di ragionamento, di sensibilità civile e culturale, del candidato ci può dare una mezza certezza.
Si parlò tempo fa di modificare la normativa, ma l'MPA, il partito del presidente Lombardo, non ne volle proprio sapere. Sfido io la loro base elettorale è prettamente clientelare, una modifica della legge elettorale avrebbe messo in forte difficoltà i loro militanti eletti nei piccoli paesi. Ed allora invece di fare l'unica cosa giudiziosa e giusta, vale a dire una rimodulazione del sistema maggioritario, che garantisse un diritto di tribuna a tutti i partiti o gruppi di partiti perdenti, hanno ritenuto opportuno, uscirsene introducendo uno sbarramento del cinque per cento, che penalizza i partiti piccoli ed i loro elettori, e nel contempo porta ancora più acqua al loro mulino dei vincitori.
Evitando di essere anacronistico mi riferisco ad un diritto di tribuna per i partiti minori, in quanto si garantirebbe rappresentanza a tutto il corpo elettorale, anche a quelli che hanno votato per chi ha perso, senza che questo possa incidere negativamente sull'azione dell'amministrazione, considerato che il sindaco viene eletto dal popolo ed è perlopiù inamovibile per tutta la durata del mandato.
Anche se quest'ultima questione potrebbe essere marginale, il Puntum dolens resta sempre la validità della scelta, cioè l'uso che facciamo del voto: formidabile strumento che è il nerbo della democrazia.
Mi rendo conto che tutto risulta maledettamente complicato, ma se non avremo la forza e la capacità di sapere scegliere non ci sarà futuro per i nostri figli; ed essi non avranno altra strada se non quella di sempre: trovarsi una sistemazione altrove.
                                                                                                                                             Rasputin

venerdì 4 dicembre 2009

Quello che non si dice.

Torniamo su alcune questioni di attualità cittadina per meglio chiarirci le idee, se ne saremo capaci.
Iniziamo dalla faccenda dell'ex GIL, ove ci sono alcuni fatti da puntualizzare e precisamente:
Non è vero che i beni delle IPAB (Casa di Riposo Paolo Vagliasindi del Castello) sono inalienabili. L'Ufficio legislativo e legale della Regione Siciliana con parere Prot. N. 145.11.07, precisa, in maniera ben argomentata, che i beni degli enti in questione sono assolutamente alienabili, purché il ricavato venga reinvestito per i fini propri dell'ente
Se ne deduce che il comune con la somma di cui verrà in possesso, se e quando ciò avverrà, avrebbe potuto non solo ristrutturare l'immobile ma anche acquistarlo.
C'è poi da considerare che non sappiamo la fine che faranno tutte le IPAB, dovendo obbligatoriamente essere trasformate, come già avvenuto in alcune regioni, in ASP: cioè persone giuridiche di diritto privato o fondazioni private.
Giuridicamente, ai sensi dell'art. 14 e segg. del codice civile, dette istituzioni, essendo private, non devono richiedere nessuna autorizzazione per la vendita dei beni e il ricavato dall'alienazione dei patrimoni può essere utiliz­zato per le spese di gestione: compreso il ripia­namento dei debiti.
Inoltre, nulla vieta, alle isti­tuzioni aventi personalità giuridica privata, di cambiare il loro scopo e diventare cliniche private o altro, per fare ciò è sufficiente una autonoma deci­sione dei loro organi, assunta con maggio­ranza qualificata.
Per quanto concerne le IPAB privatizzate aven­ti le caratteristiche di fondazione, il fine non si potrebbe modificare ma, com'è noto, le scappa­toie sono tante. D'altra parte, è sempre possibile vendere i patrimoni e utilizzare i proventi per pagare le spese di gestione: è quindi realizzare il loro dissolvimento.
Ergo, il comune spenderebbe una somma enorme per ristrutturare un bene immobile, oggi fatiscente e non di sua proprietà, che tra vent'anni (o anche prima) potrebbe essere alienato, lucrando parecchio, da non si sa quale ente.
Riteniamo inoltre, che non è ancora detto che il finanziamento si otterrà, proprio a causa della scelta inopportuna del nostro comune, che tra l'altro è capofila nel progetto in questione: denominato “Crescere nella Legalità”.
Pone qualche interrogativo anche la natura giuridica della convenzione, la quale avendo un rilievo prettamente civilistico è da ritenersi certamente un contratto atipico: la cui sorte giudiziaria in caso di controversia tra le parti contraenti è quanto mai incerta.
Per buona parte delle ragioni di cui sopra è stata presentata un'interpellanza parlamentare, alla quale non è stata data ancora risposta, che a noi risulti. Per una migliore cognizione ne riportiamo qui il testo:
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Allegato B
Seduta n. 164 del 22/4/2009
INTERNO

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere  premesso che:
il Comune di Randazzo (Catania) è soggetto proponente del progetto denominato «Crescere nella Legalità» beneficiario di finanziamento a valere sul PON FESR «Sicurezza per lo Sviluppo» obiettivo convergenza 2007-2013, Asse 2 misura 2.8 «diffusione della Legalità»;
 nell'ambito del progetto «Crescere nella Legalità» il comune di Randazzo ha sottoscritto una convenzione per la concessione di locali con l'IPAB Vagliasindi di Randazzo;
con la convenzione stipulata con l'IPAB Vagliasindi il comune di Randazzo si impegna a ristrutturare i locali di proprietà dell'IPAB ponendo a proprio carico tutte le spese per la realizzazione delle opere di ristrutturazione, ivi compresi studi, progettazioni, gare d'appalto, direzione dei lavori e quant'altro necessario; la convenzione tra l'IPAB Vagliasindi ed il comune di Randazzo appare particolarmente onerosa per quest'ultimo e generica non essendo quantificato l'ammontare del costo delle opere di ristrutturazione necessarie:se siano a conoscenza dei fatti esposti e se, nell'ambito del PON FESR «Sicurezza per lo Sviluppo», siano ritenute ammissibili le spese sostenute per la realizzazione di opere di ristrutturazione di beni immobili che non siano di proprietà dei soggetti maggiormente coinvolti nel progetto, in caso contrario se non intendano giudicare inammissibili le spese sostenute dal comune di Randazzo, nell'ambito del progetto «Crescere nella Legalità», per la convenzione da questo stipulata con l'IPAB Vagliasindi per la concessione dei locali di proprietà di quest'ultima.
(2-00364)
«Berretta, Causi, Burtone, Minniti, Laratta, Capodicasa, Bernardini, Samperi».
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E' chiaro che se il finanziamento non verrà concesso, per le ragioni di cui sopra, probabilmente verrà rigettato l'intero progetto con grave danno anche per i comuni che, unitamente al nostro ne sono compartecipi.
Ci sembra più che sufficiente quanto sopra esposto per dare un'idea della ingarbugliata questione.
Un'altra faccenda sulla quale poco si è riuscito a comprendere riguarda la realizzanda bambinopoli di piazza Loreto. Nell'ultimo consiglio comunale si è parlato di lettere anonime, convocazioni del Sindaco all'Assessorato competente e pareri vari pro veritate; ricavando una sola convinzione: che siamo di fronte ad un pasticcio burocratico.
Ma la cosa più dolorosa è che verosimilmente la piazza più grande e ariosa della città possa essere definitivamente rovinata. Timore non infondato, considerato quanto fino oggi i nostri amministratori hanno saputo fare.





Piccola chiosa: E l'uomo qualunque comprese la ragione del grande successo del film IL RITORNO DI IMBRASTAZZA.
ANTICA STORNELLATA RANDAZZESE DA NOI RICEVUTA E PUBBLICATA (clicare per vedere).

I NUOVI RAS


Nei primi tempi del fascismo, l'Italia, di su e di giù fu invasa dai ras, nome che si dava, in senso dispregiativo, a quei gerarchi, che nelle loro città facevano il buono e cattivo tempo. Ogni città ne aveva uno che comandava su tutto e su tutti e non tollerava concorrenti di sorta.
Dapprima Mussolini li lasciò fare, forse gli servivano e li temeva, ma quando si accorse che strafacevano, si stancò e diede ordine ai giornali di regime di attaccarli e di ridicolizzarli. Furono chiamati santoni, ducini e ducetti. I più deboli furono deposti. Gli altri i più forti, come, per fare un esempio Balbo, Farinacci e Arpinati dettero filo da torcere a Mussolini, fino alla morte.
Nelle rispettive città i ras dovevano essere i primi assoluti in tutto e tutti se volevano crescere in prestigio o contare qualcosa, dovevano godere della loro protezione.
Oggi a guardare bene qua e la si riscontrano atteggiamenti tanto somiglianti a quelli descritti, i nuovi ras vorrebbero fare la pioggia e il vento, comandare su tutto e su tutti. Tendono a proteggere il parentado, per esso cercano i posti migliori; mettono i figli in politica, sperando possano continuare senza soluzione di continuità quanto da loro fatto e cioè mantenere rendite di posizione. Sono sempre presenti e servizievoli quando il capo li chiama, ad esso rendono conto e chiedono le grazie di cui hanno bisogno. Alcuni sono sulla breccia da anni, vanno a caccia di posti di sottogoverno, che significano potere e soprattuto indennità considerevoli. Qualcuno è così bravo da essersi fatto introdurre in più enti e pertanto percepisce più indennità, talmente consistenti da poterci vivere bene tre famiglie, anche numerose.
I nuovi ras hanno grande seguito, conoscono l'arte di lusingare, promettere e convincere, salvo poi prendere tutto solo per loro e il parentado. Sono convinti di essere eterni di avere trasferito qualcosa di geneticamente speciale ai loro figli che ne fa degli uomini politici, salvo poi dimostrarsi alla prova dei fatti che così non è.
I nuovi ras ci governano con piglio risoluto e male accettano la critica giusta o ingiusta che sia. Sono convinti di essere la salvezza di Randazzo, senza comprendere che la città, usando un eufemismo, assomiglia ad una nave che va sempre più a fondo.
Forse non hanno occhi per vedere o orecchie per sentire o forse vivono avulsi dalla realtà, difficile e a volte drammatica, che noi comuni cittadini siamo costretti quotidianamente ad affrontare. Perché loro come si dice dalle nostre parti “annu a barca o sciuto”; banale luogo comune, ma che rappresenta la realtà.
In un paese democratico e repubblicano come il nostro o come si dice sia il nostro, ed in particolare nel nostro mondo piccolo, la presenza di una classe politica si fatta é deleteria e anacronistica.
Ed allora tutti dobbiamo sforzarci di creare quella sensibilità, quel senso critico, quel giusto discernimento che ci permetterà, quando giungerà l'ora, di scegliere un vera classe dirigente all'altezza del difficile compito di governare la città.

Noi dell'Italia dei Valori ci stiamo provando e lo faremo insieme alle altre forze politiche che vorranno condividere l'idea di porre in essere una vera rivoluzione culturale. Solo cosi potremo far comprendere che non si migliora un bel nulla se non si rimuovono gli ostacoli; e gli ostacoli sono gli uomini sempre gli stessi. E che nulla di buono si può realizzare se non si disbosca la selva degli opportunisti, degli egoisti, delle mezze figure, dei lacchè, dei cicisbei e dei postulanti, che popolano il sottobosco della politica locale.
                                                                                                                     Rasputin
ESSI, TUTTI LO SANNO

(liberamente tratta da una poesia di Charles Bukowski)
chiedete ai pittori da marciapiede
chiedete al sole su un cane addormentato
chiedete ai tre porcellini
chiedete al giornalaio
chiedete alla musica di Donizetti
chiedete all'uomo appoggiato al muro
chiedete al predicatore
chiedete all'ebanista
chiedete al rivoluzionario
chiedete alla cutrettola che la sera torna a casa
chiedete al vostro padre
chiedete al vostro figlio e al suo figlio futuro
chiedete ai tentati, ai dannati, agli stolti, ai saggi, agli adulatori
chiedete ai costruttori di templi
chiedete alla luna
chiedete alla falena, al monaco, al pazzo
chiedete ai padroni di casa
chiedete ai calvi e ai ciccioni e agli uomini alti e a quelli bassi
chiedete chiedete chiedete
tutti vi diranno:
Ernesto Alfonso il Sindaco e la sua maggioranza
è più di quanto ogni randazzese possa sopportare.

PANTALONE PAGA



Una ridente cittadina la definì un nostro compaesano in un libretto da lui curato. Sicuramente maturò questa sua convinzione, poi tradotta in espressione letteraria, considerando l’armonica e antica struttura dell’abitato. Assai difficile è che abbia potuto formarsi un convinzione riferendosi alle condizioni di vita del passato e del presente. La nostra gente i nostri progenitori, concittadini di ieri; vissuti in un passato che sembra lontano anni luce, eppure ancora a portata di mano, perché vivo nella mente dei più anziani. Un passato dove la sopraffazione di pochi (i cavalieri o proprietari) rendeva insopportabile, opprimente e indescrivibile la fatica di vivere a molti. E’ la storia sentita e risentita, ma ormai parzialmente rimossa dalla nostra memoria. E' la storia di un paese sopraffatto da un sistema feudale di sfruttamento, tenuto in piedi fino agli anni cinquanta del secolo passato, dove in molti possedevano meno che niente: solo il duro lavoro nelle vigne dei proprietari gli consentiva di potere sopravvivere. Una realtà sociale fatta di pochi ricchi e di tanti poveri. I poveri, quelli che nei periodi di carestia erano costretti a bussare alla porta dei nobilotti per non morire di fame; quelli che per ottenere un pugno di grano dovevano dare anche ciò che avevano di più caro; quelli che erano costretti a fare lavorare i propri figli ancora bambini nelle vigne dei padroni; quelli che in inverno non avevano scarpe e usavano i zampiti procurandosi il congelamento dei piedi; quelli che avevano un bugigattolo di casa, composta da un vano al piano terra adibito a stalla e un vano al piano superiore dove ci vivevano in sette o più. Poi c’erano gli altri: i signori, per capirci i cavalieri o proprietari terrieri, i quali possedevano belle dimore, vivevano bene, i loro figli erano istruiti, avevano pure viaggiato ed alcuni già andavano in automobile.
Poi finì il fascismo, al quale i cavalieri avevano aderito con grande fervore ideologico; trasformandosi da sfegatati liberali a fascisti convinti. Arrivarono i due grandi partiti di massa la democrazia cristiana e il partito comunista e le cose incomminciarono a mutare. Perché vedete non è vero che l’agricoltura non andava più, é che quel sistema di sfruttamento non era piu praticabile, in quanto iniziava a nascere in Italia un legislazione sociale che imponeva ai padroni di trattare i lavoratori agricoli non più come bestie da soma, ma come esseri umani. Ed allora avvenne che i proprietari essendo ben ammanigliati sistemarono i loro rampolli altrove e furbescamente  vendettero i loro terreni, ormai scarsamente redditizi, agli stessi contadini, che fino allora li avevano lavorati, fottendoli per la seconda volta.
Spezzettate le grandi proprietà  e create delle unità colturali piccole era ovvio che si era ormai ad un agricoltura di mera sussistenza. Ed i figli dei contadini, divenuti piccoli proprietari, si resero conto che si poteva solo continuare a morire di fame e scelsero l’unica via possibile: l’emigrazione. Fatto per altro non nuovo per la nostra città, stante che le prime emigrazioni di massa avvennero già alla fine dell’ottocento verso le americhe. Negli anni sessanta e settanta si scelsero mete più vicine, europee: Germania, Francia e cosi via.
Le rimesse di quegli emigrati consentirono un certo sviluppo dell’edilizia privata, dal quale trasse beneficio tutta la città. Poi gli emigrati capirono l’inutilità di investire nel paese di origine, dove nessuna prospettiva di benessere si profilava per i loro figli; tra l’altro questi erano ormai cresciuti è si erano ambientati, integrandosi, nei paesi di emigrazione.
Oggi la nostra è una sorta di economia assistita, nel senso che vive solo di assistenzialismo: una economia fondamentalmente sul lastrico. Ed allora stante la difficoltà dei nostri amministratori di risolvere una questione che é molto ma molto più grande di loro e che richiederebbe un impegno di forze, ingegno e capacita che francamente non intravediamo. Una cosa ci saremmo aspettata da loro, forse l’unica possibile e capace di dare un segno tangibile verso la città: RINUNCIARE a quella maledetta indennità. Eliminare l’infausto vaso di Pandora, che é la croce e la rovina della politica nostrana. Chi può oggi, al cittadino comune, fugare il sospetto che i nostri amministratori siano mossi nel loro impegno, non solo dalla gloria e dalla ricerca del bene comune, ma anche è soprattutto dalla voglia di intascare quella riluttante ed immorale indennità. Si immorale, perché in un paese dove ci sono concittadini che soffrono, che stentano a sbarcare il lunario, che vivono drammaticamente le gravi difficoltà determinate dalla crisi attuale, rinunciare all’indennità era il meno che ci si potesse aspettare.
Il buon padre di famiglia quando vede che le cose vanno male è il primo a dare l’esempio, a tirare la cinghia, a soffrire con dignità: anche solo per senso di solidarietà nei confronti di chi tribola.
Certo parole al vento le nostre, perché da quell'orecchio nessuno dei signori amministratori ci sente. Se poi consideriamo che il signor Sindaco per i diversi incarichi che ricopre percepisce più di una indennità, il quadro si fa subito chiaro.
Ma vi è una morale in tutto questo; certo che c’è, ed è quella che alla fine Pantalone paga e Pantalone siamo noi tutti cittadini randazzesi.


ERNESTUS ALFONSUS MAGNIFICUS


A volte taciturno, sornione, tendente leggermente alla pinguedine, capelli folti e bianchi, occhi torvi, viso pallido verdastro che rispecchia l’animo magnifico che l’ha sempre contraddistinto. Soggetto da immortalare in una tela preziosa o in un monumento artistico (tipo Piracmone) a memoria perenne dei grandi uomini che ha partorito la nostra Randazzo.
Gli accollerei una tunica cardinalizia e fra le pieghe di essa scriverei, in volute romane Ernestus Alfonsus e più sotto “Magnificus”.
Non sappiamo se Ernestus Alfonsus Magnificus abbia qualche precedente cardinalizio nella sua illustre e nobile casata, se così fosse ancora di più si capirebbe la magnificenza della sulla presenza in consiglio comunale. Ernestus Alfonsus pur lasciando la più ampia libertà a tutti, li tiene in pugno ed impone la forza della sua guida. Lancia un sorrisetto e lo ritira subito e nell’ambito di esso è la sua critica.
Tiene i suoi disciplinati, attenti e sempre presenti, dispensa consigli, elargisce ammonimenti. Nei momenti critici Ernestus scompare. Si ritira nella sua stanza, dove lima mozioni, detta suggerimenti annota commenti, chiama i sui fedelissimi li istruisce e così finisce per imporre il suo illuminato volere.
Con la raffinata diplomazia che lo contraddistingue, pur cosciente della sua superiorità, umilmente depone la tunica vermiglia ed indossa il saio francescano della modestia e sommessamente, autentico sommo sacerdote del tempio forzista randazzese, recita, insieme ai suoi fedelissimi, un Te Deum di ringraziamento agli Dei Brontesi, suoi numi tutelari. Quindi, attorniato dai suoi adepti, intona in loro onore l’alleluia affinché non manchi mai la loro intercessione.

Solo poche righe per esprime un giudizio su coloro che ritengono svolgere la disputa politica a colpi di lettere anonime.
Sappiano i nostri pochi lettori che lo strumento della delazione anonima è quanto di più schifoso e vergognoso esista. E’ una pratica da regime autoritario, mentre in democrazia le battaglie si conducono alla luce del sole: mettendoci faccia, nome e cognome di chi li porta avanti.
Chi scrive lettere anonime è un codardo, uno che non ha il coraggio di dire quello che pensa. E chi non ha l’onestà, la forza e la rettitudine morale di battersi per le proprie idee è un essere incivile, miope e abietto.
E’ chiaro che la politica può, è deve essere in alcuni casi, scontro duro, ma in democrazia quando un governo o un’amministrazione comunale non funziona la si cambia con lo strumento del voto. Questo è quello che noi dell’Italia dei Valori stiamo cercando di fare: creare l’alternativa all’attuale maggioranza che, a nostro avviso, ci governa male.
Continueremo ad usare questo blog o ad affiggere manifesti, criticando la dove è giusto criticare e ritenendo che ciò rientri nella logica di un naturale gioco delle parti: loro maggioranza e noi opposizione.
La vergognosa e schifosa delazione anonima, altera le regole del gioco; crea un inutile e dannoso clima di sospetto, che non fa bene né alle forze politiche, né alla città.
La nostra é una lotta politica leale, corretta e trasparente, condotta con i mezzi di cui disponiamo, ma stia sicuro il signor Sindaco, che il giorno in cui (speriamo presto) lascerà la politica e tornerà ad essere un comune cittadino, saremo sempre pronti, se egli lo vorrà, a stringergli la mano.
LO SCIPPO DELL'ACQUA



La maggioranza di governo ha votato compatta la fiducia al decreto Ronchi, che introduce la privatizzazione delle reti idriche nazionali.
Sull'acqua e sulla gestione dei sistemi idrici la posizione dell'Italia dei Valori è che essa deve rimanere pubblica, come si addice ad un bene essenziale, che non può essere ridotto ad una merce. Questo senza se e senza ma.
Per questo è necessario sollevare la più ferma protesta e adoperarsi per far crescere la mobilitazione popolare, avverso una normativa che suona come una campana a morto per la gestione pubblica dell'acqua.
Già prima, infatti, la pubblicità della gestione dell'acqua era molto compromessa, a conseguenza della legge 133 del 2008, che fu uno dei primi provvedimenti e tra i più sciagurati del governo Berlusconi. Da allora la gestione dell'acqua potè essere affidata al mercato, come se si trattasse non di un bene pubblico ma di servizio con rilevanza economica. Pur tutta via era data facoltà alle amministrazioni locali e ai loro consorzi di poter esercitare questa gestione attraverso società interamente pubbliche e sulle quali l'ente locale o il consorzio esercitasse, però, un indirizzo e un controllo come se si trattasse di un suo ufficio interno o una municipalizzata.
Era una situazione precaria e sempre in bilico verso la caduta del servizio idrico nelle mani dei privati, ma attraverso questa facoltà molte amministrazioni, nel nord e nel centro dell'Italia, hanno potuto mantenere la gestione pubblica dell'acqua. Si erano distinti in questa “resistenza” alla privatizzazione del servizio idrico anche molti comuni amministrati dalla Lega.
Ora, nel testo approvato, questi affidamenti a società interamente pubbliche vengono fatti decadere improrogabilmente nel 2011 a meno che l'amministrazione locale non ceda il 40% delle sue quote nella società a soggetti privati, che ne prendono in mano la gestione. Come dire che si salvano le gestioni pubbliche a patto che esse finiscano in mano ad un privato, magari molto ben ammanicato con gli amministratori compiacenti.
Dove erano i parlamentari della Lega, mentre prima alla Camera o adesso al Senato il loro Governo eliminava ogni possibile sopravvivenza di gestione pubblica dell'acqua? Festeggiavano alle sorgenti del Po' mentre l'acqua delle loro valli diventava un lucroso affare e un ulteriore pesante aggravio dei bilanci delle famiglie?
Ma veniamo a noi: la questione idrica è sempre stata per la nostra cittadina una problematica essenziale e travagliata, che ha visto dal dopo guerra fino ad oggi tutte le amministrazioni comunali dannarsi l'anima per risolverla.
La prima galleria per la captazione delle acque fu realizzata in contrada “Pietre Bianche”.
Durante gli anni cinquanta e sessanta la questione dell' approvvigionamento idrico rappresentò per la città un problema drammatico.
Verso la metà degIi anni sessanta la classe politica convenne che era giunto il momento di scavare una nuova galleria in contrada “San Giacomo”, dalla quale sarebbe arrivata l'acqua “baciata dal sole”.
Ma i lavori tardavano ad iniziare, ed allora a sollecitarli ci pensava l'estroso e ironico avvocato Ferdinando Basile, il quale ovunque fosse possibile con un lapis scriveva “vogliamo l'acqua San Giacomo”.
Dopo anni di tribolazioni nel 1970 si inaugurò il nuovo acquedotto, che aumentò la portata, ma non risolse di molto l’annosa questione, perché l'acqua se pur in maggiore quantità veniva sempre immessa nell'esistente condotta, che era una sorta di vecchio colabrodo, essendo stata realizzata in maggior parte prima della guerra.
Verso la metà degli anni settanta l'Ente di Sviluppo Agricolo effettuò delle trivellazioni in contrada “Santa Caterina” è trovò una falda acquifera di notevole portata che scendeva dall'Etna.
Dopo un lungo dibattito fra le forze politiche del tempo ci si convinse, che pur non essendo la famosa “acqua baciata dal sole” sempre acqua era, e pertanto conveniva realizzare un nuovo acquedotto. Nonostante la gravosa difficoltà di dovere sollevare l'acqua per portarla in superficie, trattandosi non più di gallerie ma di due pozzi sotterranei, l’opera venne lo stesso realizzata.
Fin qui la storia delle nostre vicissitudine idriche, oggi si pone un problema diverso e nuovo, imprevisto ed imprevedibile al tempo dei fatti narrati e cioè un maggioranza parlamentare con un colpo di fiducia, ha deciso di espropriare gli italiani di un bene essenziale: l'acqua.
La questione più grave e che la detta privatizzazione non solo non migliorerà il servizio, ma secondo quanto sostenuto dal Forum per l'acqua pubblica, comporterà un forte aumento delle tariffe.
Il movimento (forum per l'acqua pubblica) è una seria organizzazione composta non solo da cittadini, professionisti e sindaci, ma ha anche l'appoggio di importanti personaggi della politica nazionale ed europea.
Naturalmente i nostri amministratori fatalisti per vocazione non si sono posti neanche il problema. Il fatto che tra qualche anno le nostre risorse idriche possano essere gestite da forestieri, pare interessi poco al signor Sindaco.
Ad oggi non vi è stato da parte del nostro primo cittadino alcun intervento sull'argomento, né meno che mai, i nostri amministratori, si sono sognati di convocare un consiglio comunale urgente per poterne discutere ed unirsi ai moti di protesta che da più parti si levano.
E le battaglie condotte all'unisono negli anni sessanta da tutta la cittadinanza per la realizzazione dell'acquedotto San Giacomo; gli sforzi compiuti negli anni ottanta per l'acquedotto Santa Caterina e il rifacimento della rete idrica interna. Di colpo tutto sarà cancellato.
Ci chiediamo ma non ha la sensazione il signor Sindaco, anche solo come semplice cittadino, che la città viene derubata di un bene prezioso faticosamente ottenuto negli anni.
Mi piace ricordare una pagina del famoso giornalino di Mario Scalisi, il quale rivolgendosi all'allora sindaco Giuffrida, gli ricordava che l’acquedotto san Giacomo sarebbe stato realizzato esclusivamente con i soldi dei randazzesi, nulla avendo ottenuto come finanziamenti esterni. Ma riconosceva altresì che il detto Giuffrida si era molto battuto per l'acquedotto, avendo , nei momenti più gravi, l’appoggio delle forze di sinistra e dell'intera cittadinanza.
Sappia il signor Sindaco fare altre tanto e come allora troverà al suo fianco tutte le forze politiche e l'intera cittadinanza.
Intanto l’Italia dei Valori ha in progetto di raccogliere le firme per un referendum abrogativo dell’iniqua legge. Vogliamo sperare che se ciò avverrà, il primo firmatario a Randazzo sia il nostro signor Sindaco.










Dopo l’uscita del nostro blog qualcuno ha iniziato a pregare così:



Dolce splendido Arpocrate, dio del silenzio, io ti adoro. Di tutti gli dei antichi e recenti , neri bianchi gialli, tu sei il più caro e amato: Apollo bellissimo dalle mille voci, ha avuto le preferenze dei poeti greci e romani, Dionisio è arrivato fino a noi a cavallo del romanticismo favorito da Nietzsche e da D’Annunzio. Ma che sono essi al tuo confronto, Arpocrate di velluto, Arpocrate fasciato di petali di rose purpuree? E lo stesso Orfeo che rappresenta? Tu sei il dio del silenzio, dei mille silenzi, il dio più giusto ed immacolato. Io ti amo e t’invoco.



Il silenzio è tutto, non c’e argento nè oro che lo paghi. Corone di papi e di re non valgono un solo attimo. Tu domini e guidi i silenzi verdi, bianchi, neri, i silenzi d’oro, i silenzi della nascita e della morte. Come sei caro, Arpocrate.



Quanto più ferve attorno a me il mormorio dei miei concittadini, quanto gli scocciatori e gli attaccabottoni, nonché creatori di nuovi partiti, mi si fanno da presso, insistenti, persistenti e opprimenti come rabula e comizianti, tu, Arpocrate senza l'eguale mi appari come la sola àncora di salvezza, e io ti chiamo: Arpocrate, dio mio unico in terra e in cielo, portatore e dispensatore della cosa più bella e immortale, il silenzio, proteggimi ammutolisci quei rompi coglioni dell’Italia dei Valori e crea attorno a me una grande zona deserta, una coltre impenetrabile di silenzio……

RINASCE LA RANDAZZO LITTORIA
Il palazzaccio sito in piazza Bixio n. 4 é comunemente inteso dai nostri concittadini ex Gil, e non ex Gigli come qualche illetterato lo ha indicato parlandone in televisione. E' pertanto opportuno chiarire cosa era la G.I.L.. Con questa sigla si soleva riferirsi alla Gioventù Italiana del Littorio, una organizzazione giovanile fascista, fondata il 29 ottobre 1937 (XVI dell'era fascista), con lo scopo di accrescere la preparazione spirituale, sportiva e militare dei ragazzi italiani fondata sui principi dell'ideologia del regime. In essa confluì l'Opera Nazionale Balilla, creata per i giovani di ambo i sessi dai 6 ai 21 anni, e tutte le organizzazioni che ad essa facevano capo, rispondendo direttamente alla segreteria nazionale del PNF.
Nel palazzaccio in questione la nefasta organizzazione aveva la sua sede, derivando da ciò la diffusa abitudine, nel dopo guerra, di riferirsi ad esso con l'appellativo di ex GIL.
In Realtà la costruzione era di proprietà di Giuseppe ed Anna Vagliasindi. Nel 1954 venne da Francesco Vagliasindi costituita “l'Opera Pia Pro faci Mucciati", alla quale furono devoluti diversi beni immobili, ivi compreso il fabbricato de quo. Le finalità dell'Ente benefico erano curiose, in quanto si trattava di soccorrere economicamente tutti i nobili decaduti, i quali versavano in condizioni economiche disagiate ma, gravati dal blasone dei loro avi, provavano vergogna a chiedere aiuto. Ed allora a questi nobili decaduti (Facci Mucciati) veniva incontro il benefico sodalizio.
Con la recente revisione di tutti gli enti di assistenza e beneficenza la Regione Siciliana, ha ritenuto opportuno aggregare la suddetta opera pia con la casa di Riposo Paolo Vagliasindi del Castello. Pertanto quest'ultimo ente ne è divenuto proprietario ed amministratore di tutti i beni del soggetto giuridico aggregato e per conseguenza soppresso.
Tutto ciò premesso veniamo al punto della discussione. Recentemente è stata stipulata una convenzione tra i comuni di Bronte, Maletto, Maniace e Randazzo per creare centri di aggregazione e aree attrezzate.
La convenzione è stata firmata dai sindaci di Bronte, Maletto, Maniace e Randazzo, nella sala della Giunta del Comune di Bronte. Essa ha lo scopo di regolare i rapporti fra i 4 Comuni che insieme hanno presentato il progetto “Crescere nella legalità” da finanziare con i fondi del Pon sicurezza, nel quale è previsto il recupero di aree urbane, la fruibilità di beni pubblici, la creazione di centri di aggregazione e di aree attrezzate da mettere a disposizione dei giovani.
A Bronte le attività progettuali proposte riguardano il recupero di tre aree urbane alle quali saranno associate diverse iniziative. La prima riguarda la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria nella zona denominata “167” Sciara di S. Antonio, dove si realizzerà del verde attrezzato, campetti sportivi polivalenti ed un pattinodromo da utilizzare in collaborazione con le scuole. La seconda prevede la valorizzazione della piazza San Giuseppe con la costruzione di un palco all’aperto e l’istituzione di una scuola di teatro; ed in fine per contrastare fenomeni di degrado ambientale nel parco urbano adiacente alla scuola media, si prevede la realizzazione di una strada tra corso Umberto, il parco, e il costruendo mercato coperto, con illuminazione e videosorveglianza. Alla realizzazione di un centro di aggregazione guarda pure il Comune di Maletto che ha pensato al recupero di una vecchia opera, sita in contrada Margi dove si realizzerà uno spazio polifunzionale. Maniace ha proposto di realizzare un parco urbano attraverso l’ampliamento di una piazzetta esistente sita nella zona centrale del paese ed esattamente in contrada Fondaco.
I nostri tre lettori riterranno che abbiamo dimenticato di citare il progetto che il nostro Sindaco dott. Del Campo Ernesto Alfonso motu proprio ha deciso di realizzare con il cospicuo finanziamento. Ma cosi non è; riteniamo parlarne per ultimo intanto perché ci riguarda direttamente e poi perché è un progetto a dir poco bislacco e difficilmente condivisibile.
Ecco in cosa consiste: il signor Sindaco decidendo di realizzare, con la parte di finanziamento a noi destinata, un centro giovanile polivalente, ha ritenuto di individuare nel palazzaccio il luogo ideale. Curiosa scelta in molti pensarono, ma come il Comune con tanti immobili di proprietà che potrebbe, ristrutturandoli, utilizzarli come meglio vuole, sceglie un immobile di proprietà di un'altro Ente? Allorché il quesito fu posto in consiglio comunale il Sindaco rispose che doveva necessariamente farsi così: perché trattasi di un bene non pubblico ma nella disponibilità pubblica (vai a capire cosa vuol dire), che sarebbe stato concesso in comodato gratuito per venti anni.
Parafrasando il grande Toto potremmo dire “alla faccia del bicarbonato di sodio", spendiamo oltre un milione di euro per ristrutturare una catapecchia e averla in comodato gratuito solo per vent'anni; quanto con quei denari avremmo potuto realizzare un fabbricato nuova di zecca.
Certo se poi tiriamo in ballo la storia tutto questo appare grottesco e ridicolo; non é che come diceva il sommo poeta "C'e qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico…"; non è che qualcuno si è confuso sbagliando periodo e pensa di organizzare i nostri giovani in : Giovani forzisti, Avanguardisti di mediaset, Giovani Berlusconiani, Piccoli Figli di rete quattro e così via.
Richiamandoli magari ogni sabato alla scuola di indottrinamento e formazione ideologica, nonché completare il tutto con esercizi fisici a corpo libero. Certo se cosi fosse bisognerebbe capire chi dei nostri amministratori dovrebbe dare l'esempio, mostrando per primo l'esuberanza fisica attraverso il salto nel cerchio di fuoco come avveniva ai tempi che furono.
Tornando al presente chissà perché non si parla più dell’ex cinema Moderno o delle Rose, allorché il signor Sindaco disse in campagna elettorale che il finanziamento c’era di certo e si aspettava solo che lui lo utilizzasse. Pia Illusione, visto che il finanziamento si era gia eclissato da un pezzo, salvo ritenere il signor Sindaco che, per occhio di riguardo nei suoi confronti, il ministero avesse messo le somme in un salvadanaio in attesa del suo ritorno.
Per non dire del Monastero di San Giorgio, acquistato negli anni ottanta e oggi in completa rovina, nella più totale ed assoluta indifferenza di chi sta al Comune.
Rischiando di diventare noiosi ribadiamo l’idea che la città abbia urgente bisogno di darsi al più presto una vera classe dirigente, ma questo dipende dalla sensibilità del nostro signor Sindaco. Il quale dovrà prima o poi comprendere che questa condizione di totale “stagnazione” é solo dannosa per tutti.

CATANIA
COORDINAMENTO PROVINCIALE

Sede Segreteria Provinciale: Catania Indirizzo: Via Giacomo Leopardi, 119 - 95127 Commissario: Domenico Scilipoti
Tel.: 3334665420
E_mail: scilipoti_d@camera.it Responsabile Tesseramento: Silvio Di Napoli
Tel.: 3880445445
E_mail: avvdinapoli@interfree.it
Componenti Giuseppe Guglielmino (Acicastello) Michele Barbagallo (Acireale) Silvio Di Napoli (Catania) Rosario Guarrera (Giarre) Gino Porrovecchio(Grammichele) Franco Sgroi (Mascali) Roberto Nicolosi (Mascalucia) Angelo Palumbo (Paternò) Piero Proietto (Randazzo)

LO STRUMENTO DELL'INGANNO: A TUTT'OGGI SOLO STERILI PROMESSE; FATTI ZERO!

Leoluca Orlando eletto Vicepresidente Eldr
di Redazione Web 21 novembre 2009, 03:02 Esteri
Leoluca Orlando, portavoce nazionale di Italia dei Valori è stato eletto oggi al congresso di Barcellona Vicepresidente dell’Eldr, i Liberali democratici riformatori europei. Il congresso si è aperto ieri sul tema “Il liberalismo economico dopo la crisi finanziaria”. All’ assise europea partecipa una delegazione ufficiale dell’Italia dei Valori guidata proprio da Leoluca Orlando, di cui fanno parte la senatrice Patrizia Bugnano, responsabile nazionale donne IdV, i sette europarlamentari Idv, con il capo delegazione Niccolo’ Rinaldi e i venticinque delegati, in maggioranza giovani under 35. “L’elezione di Leoluca Orlando a vicepresidente dell’Eldr rappresenta – ha commentato Antonio Di Pietro – un riconoscimento significativo per il lavoro svolto dallo stesso Orlando in campo internazionalee dal nostro partito nel campo della legalità dei diritti. In un momento così difficile per il nostro Paese, mortificato dalle scelte dell’Unione europea, la nomina del nostro portavoce è un segnale importante e di conferma alla politica portata avanti dall’Italia dei Valori. A Leoluca va il nostro grazie e un caloroso augurio di buon lavoro”.



Ancora due parole sul cimitero.
Che sia assolutamente disdicevole, vergognoso e moralmente riprovante mettere mano ad una questione cosi delicata in maniera approssimativa e irrazionale, va de sé; ed è cosa che può essere condivisa dalla maggior parte della città.
E’ altretanto difficile capire le ragioni politiche che hanno portato ad assumere un provvedimento del genere, dopo averne fatto un cavallo di battaglia contro Turi Agati. Salvo che come diceva Andreotti a pensare male si fa peccato ma il più delle volte si indovina. Ed allora vien da pensare che ci possa essere in ballo qualche promessa fatta in campagna elettorale o qualcuno che ha un congiunto da meglio sistemare.
Certo non si può dire che un tale provvedimento risolve o attenua il problema del cimitero, perché a ragionare con la logica dei pannicelli caldi, quanto invece la questione andrebbe affrontata con la forza e determinazione che a questa classe politica manca, si rischia di scadere nel ridicolo, se non fosse altro per la serietà dell’argomento.
E poi siamo sicuri che dal punto di vista normativo tutto combacia e che una poca attenta burocrazia comunale non abbia scordato qualche particolare non irrilevante.
A noi risulta che con quesito rivolto al Ministero della Salute in data 4 luglio 2006, vennero chiesti lumi su come trattare le concessioni perpetue. L’interpellato rispose che “le concessioni perpetue rilasciate in data anteriore a quella di entrata in vigore del D.P.R. 21/10/1975 n. 803, si trovano in situazioni di diritti acquisiti e non sono soggette a revoca”. Inoltre nell’illuminate risposta il ministero della Salute citò una decisione del Consiglio di Stato (che è il massimo organo di giustizia amministrativa in Italia) e precisamente sez. V, 8 ottobre 2002 n. 5316, nella quale il suddetto organo si esprimeva nel senso che una concessione cimiteriale perpetua non può essere revocata e la sua cessazione può darsi unicamente nell’eventualità di estinzione per effetto della soppressione del cimitero.
Ora salvo a ritenere, da parte dei nostri amministratori, che Randazzo non trovasi in Italia ma nella repubblica della banane, dove tutto è possibile e realizzabile in barba a qualunque regola o decisione giurisprudenziale. Sarebbe utile sapere se tra i defunti sfrattati ve ne siano di quelli per i quali a suo tempo era stata rilasciata una concessione perpetua.
Lascia altresì perplessi anche il modo di ricercare gli eredi dei sfortunati defunti, stante che ci si limita ad una ricerca effettuata tramite i dati esistenti presso l’anagrafe del nostro comune: con la logica conclusione di non potere rintracciare chi da più generazioni non è più qui residente.
E poi francamente il caro Toto nella sua famosa poesia “a livella” considerava la morte come la debellatrice di tutte le disuguaglianze sociali. Nella nostra città anche la morte è diversa: chi a parenti e paga resta al suo posto e chi nessuno ha viene mandato via.
Sorge spontaneo l’interogativo: ma che razza di gente ci governa, che si cimenta a tormentare anche i morti pur di fare incassare al comune un pugno di euro?

Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente, in questo giorno, di questa triste e mesta ricorrenza,

anch'io ci vado,e con dei fiori adornoil loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.
St'anno m'é capitato 'navventura...dopo di aver compiuto il triste omaggio.

Madonna! si ce penzo,e che paura!,ma po' facette un'anema e curaggio.
'O fatto è chisto,statemi a sentire:s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:io,tomo tomo,stavo per uscirebuttando un occhio a qualche sepoltura.
"Qui dorme in pace il nobile marchesesignore di Rovigo e di Bellunoardimentoso eroe di mille impresemorto l'11 maggio del'31"
'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto......sotto 'na croce fatta 'e lampadine;tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:cannele,cannelotte e sei lumine.
Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signorence stava 'n 'ata tomba piccerella,abbandunata,senza manco un fiore;pe' segno,sulamente 'na crucella.
E ncoppa 'a croce appena se liggeva:"Esposito Gennaro - netturbino":guardannola,che ppena me facevastu muorto senza manco nu lumino!
Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!Stu povero maronna s'aspettavaca pur all'atu munno era pezzente?
Mentre fantasticavo stu penziero,s'era ggià fatta quase mezanotte,e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.
Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...Stongo scetato...dormo,o è fantasia?
Ate che fantasia;era 'o Marchese:c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;tutto fetente e cu 'nascopa mmano.
E chillo certamente è don Gennaro...'omuorto puveriello...'o scupatore.'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:so' muorte e se ritirano a chest'ora?
Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,s'avota e tomo tomo..calmo calmo,dicette a don Gennaro:"Giovanotto!
Da Voi vorrei saper,vile carogna,con quale ardire e come avete osatodi farvi seppellir,per mia vergogna,accanto a me che sono blasonato!
La casta è casta e va,si,rispettata,ma Voi perdeste il senso e la misura;la Vostra salma andava,si,inumata;ma seppellita nella spazzatura!
Ancora oltre sopportar non possola Vostra vicinanza puzzolente,fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fossotra i vostri pari,tra la vostra gente"
"Signor Marchese,nun è colpa mia,i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,i' che putevo fa' si ero muorto?
Si fosse vivo ve farrei cuntento,pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'ossee proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumentomme ne trasesse dinto a n'ata fossa".
"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?Se io non fossi stato un titolatoavrei già dato piglio alla violenza!"
"Famme vedé..-piglia sta violenza...'A verità,Marché,mme so' scucciato'e te senti;e si perdo 'a pacienza,mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...
Ma chi te cride d'essere...nu ddio?Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?......Muorto si'tu e muorto so' pur'io;ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".
"Lurido porco!...Come ti permettiparagonarti a me ch'ebbi nataliillustri,nobilissimi e perfetti,da fare invidia a Principi Reali?".
"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella che staje malato ancora e' fantasia?...'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.
'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,trasenno stu canciello ha fatt'o puntoc'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,suppuorteme vicino-che te 'mporta?Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"