sabato 30 gennaio 2010

NEL BARATRO.

Gli amici del PD hanno indetto per giorno sei febbraio un incontro aperto a tutta la città, onde consentire, a chi vuole, di dibattere sulle gravose questioni che in questo momento affliggono la nostra comunità.
Noi registriamo questa iniziativa con grande soddisfazione e invitiamo tutti coloro che ci seguono a parteciparvi.
E' un incontro interessante, perché oltre a rappresentare un momento di confronto democratico coinvolgente, può essere il primo impercettibile, ma significativo passo della ripresa di un'azione politica, che coinvolgendo tutto il centro sinistra, possa iniziare a gettare le basi di un progetto avente come fine il governo della città.
L'inizio di una lunga e faticosa marcia, capace di coinvolgere tutti coloro che hanno veramente a cuore le sorti della nostra comunità e sono disposti a spendere energie, capacità e volontà, seriamente ed onestamente per il bene di tutti.
Non è pura retorica. Noi siamo certi che queste potenzialità esistono, vanno scovate e messe in evidenza. Gli uomini che li incarnano sono reali, ma bisogna dare loro una base d'appoggio solida: che renda credibile tutto quello che si dice o si scrive. Questo è compito dei partiti, ed il PD che è il maggior partito della colazione di centro-sinistra se ne deve fare carico, insieme a noi dell'Italia dei Valori.
Siamo pronti e preparati a lavorare, in questi tre anni, che ci separano dalle elezioni, senza riserve mentali e né pregiudizi. Del resto vi è in gioco il futuro della nostra città e le aspettative di vita dei nostri figli e delle future generazioni a venire. Dobbiamo agire ora, se non vogliamo che questi debbano percorrere la dolorosa strada del distacco, dell'emigrazione. Occorre provare a gettare il cuore oltre l'ostacolo per superare l'attuale classe politica incapace ed inetta, idealmente gattopardiana, che ci costringe a vivere eternamente nel passato: senza né prospettiva e né speranza di cambiamento.
Il manifesto del PD lo condividiamo e lo sottoscriviamo interamente, pur tuttavia un appunto va sollevato all'intestazione: “sull'orlo del baratro”. Perché noi siamo già nel baratro, non abbiamo toccato il fondo in quanto aggrappati ad una tenue, flebile speranza di cambiamento. Se dovesse venire meno anche quella ci ritroveremmo a scendere in caduta libera, nella speranza che lì in fondo ci sia qualcosa che possa attutire l'impatto.
Per amore di verità e volendo considerare l'aspetto positivo, bisogna ammettere, che nonostante le nequizie insite in essa, l'azione politico-amministrativa di Ernesto Alfonso e dei suoi assessori un effetto lo sta producendo: è un effetto colagogo e defecativo. Per la gioia di tutti coloro che soffrono di stipsi, i quali non hanno più bisogno di utilizzare farmaci o altre sostanze, ma devono solo pensare intensamente all'azione politica dell'attuale maggioranza e il risultato è garantito.
                                                                                                  Rasputin

venerdì 29 gennaio 2010

L'AVARIZIA DI PERSEO, re dei Macedoni.


Perseo, ultimo re dei Macedoni, mostrò con il suo esempio quanto miseri sono gli avari. Egli essendo stato sconfitto in battaglia da Paolo Emilio, fu abbandonato dalla maggioranza dei suoi soldati. Poco prima che fosse preso convinse, con la speranza di grandi premi, alcuni cretesi, ai quali, in pegno delle promesse di fedeltà, fu dato del vasellame d'oro (vasorum vis). Ora egli, ritiratosi in un luogo sicuro grazie al presidio dei cretesi, promettendo loro denari, si fece restituire i vasi in precedenza dati, ma poi con i vasi trattenne pure i denari. Perciò fu abbandonato anche dagli stesi cretesi e si rifugiò in Samotracia, portandosi quale compagno solo il suo oro. Preso da Paolo Emilio fu portato a Roma  prigionioniero, per festeggiare il trionfo. E così avendo tenuto più all'oro che agli uomini, finalmente si rese conto che oltre alla libertà e al regno, egli aveva perduto anche l'oro, perché non aveva più i soldati, con i quali avrebbe potuto conservarlo (defendo).
Chi ha orecchie e cervello per intendere, intenda.

                                                                       Rosso di Sera

giovedì 28 gennaio 2010

LA CESTA della cartaccia



Il consigliere X ha poca simpatia per l'assessore XZX, il cui viso trafilato e lugubre lo esaspera. Un giorno, mentre costui si accingeva a prendere parola esclamò: “Chi mai ha autorizzato costui a fare uscire la sua testa dai pantaloni?”.


L'avvocato Ferdinando Basile, riferendosi ai consiglieri comunali, era solito dire: “le più belle trenta teste ...... della città di Randazzo”, se avesse avuto la possibilità di vedere quelli attuali, il suo innato senso dell'ironia sarebbe andato a nozze, per il divertimento di tutta la città.

“Io vivo sempre sulla barricata”, disse il signor Rubistein. Sempre è vero. Ma sempre sulla barricata dei vincitori.

Il signor G. mi racconta con somma gioia, di avere, a seguito del nuovo regolamento di polizia mortuaria, acquistato un avello al cimitero, “fra tutta gente per bene e con l'esposizione a mezzogiorno”. Perché ridere? E' giusto che le ambizioni e i piaceri della vita si prolunghino dopo la morte.

Le melliflue effusioni del noto uomo politico locale signor cav. XXXY, sono quanto di più sgradevole possa capitarci in un giorno qualunque.

I discorsi di Ernesto Alfonso, non sono che una ridda di contraddizioni, ma questo gli procura l'ammirazione dei suoi fedelissimi; “Quanta varietà di argomenti”, dicono stupefatti.

Una buona politica non esiste; esiste solamente la politica che riscuote successo. Quella di Ernesto Alfonso, per esempio è cattiva.

Il popolo è un sovrano privo di memoria; perdonare gli è facile come dimostrarsi ingrato. I nostri amministratori, sapendolo, passano i cinque anni ad occuparsi dei loro affari e negli ultimi mesi assumo provvedimenti che fanno felici gli elettori, anche se questi dovranno pagarne le spese in seguito (vedi il rifacimento della via Regina Margherita realizzato con un prestito bancario contratto dal Comune).
                                                                                    Rosso di Sera


domenica 24 gennaio 2010

MILES GLORIOSUS.


Nella nostra Repubblica, fatta di enti statali, parastatali, società miste (vedi ATO), scaturisce una infinita serie di prebende, indennità e chi più ne ha più ne metta, che vanno a finire tutti nei portafogli dei nostri uomini politici e postulanti vari, i quali sono dotati di un'ottima costituzione organica; fame ed appetiti meravigliosi! Dio glieli conservi.
Questi grazie agli adulati santi protettori riescono a far depositare le loro chiappe su poltrone di enti che garantiscono ottime retribuzioni.
Alcuni frequentano le chiese, cantano nel coro, partecipano all'organizzazione di feste rionali, ma sono devoti ad un solo Santo, quello del giorno in cui riscuotono!.
I novelli Ergasili di Plautania memoria, sono contrari ad ogni voto di povertà. Tutti preferiscono il conto in Banca alle indulgenze plenarie.
Emuli di Ergasilo, sono famelici al punto tale che la loro voracità assume una quasi epica grandiosità pantagruelica, per dirla in maniera più semplice non lasciano neanche le briciole.
Qualcuno di questi privilegiati politici avanza come Pirgopolinice, uomo di tutti i tempi e quindi veramente eterno, seguito dal suo fido Artotrògo (significato del nome dal greco: Mangiapagnotte) e dai suoi scagnozzi. Questi ultimi sono “personaggi muti”, essi compaiono sulla scena politica nostrana, e vi si intrattengono per tutto il tempo; ma non intervengono mai: forse non sono in grado di pensare.
Bella le vita e bella la politica che rende! E i novelli Ergasili al loro “dolce Santo”, brontese di adozione, cantano l'epinicio, recitano le preghiere d'uso, lo accompagnano con i loro voti di augurio, ma al voto di povertà, ahimè non si decidono!
Qualcuno, se non avesse fatto politica, sarebbe rimasto un grigio ed umile impiegato, invece andando alla ricerca del bene della sua comunità, egli ha trovato la vena d'oro.
Diceva Tocqueville che “chi a vent'anni non ha il cuore a sinistra non è mai stato giovane”, aggiungendo poi che chi “lo conserva a sinistra a quaranta è un fesso”.
Sarà, ma se per fesso si intende non averne approfittato, per essere gravato da una condizione di rettitudine mentale, tale da non saper approfittare, allora io mi professo di sinistra e se necessario anche fesso.
                                                                                    Rasputin

sabato 23 gennaio 2010

LE PREBENDE DI ERNESTO ALFONSO


Attualmente, il nostro caro Ernesto Alfonso ricopre i seguenti incarichi:
- Sindaco del Comune di Randazzo.
- Presidente della società Sviluppo Taormina Etna, che gestisce i Patti Territoriali dell’area Ionico Etnea e della Valle dell’Alcantara e che ha creato il Distretto Turistico Taormina Etna.
- Responsabile di piano del Gal Etna nell’ambito del programma comunitario Leader + .
La presente elencazione non è esaustiva; perché sicuramente il nostro signor Sindaco assomma nella sua persona altre cariche minori, che abbiamo ritenuto non menzionare, in quanto di poco conto.
Quelle più importanti sono sopra elencate e a tutte corrisponde sicuramente un'indennità di carica. Ognuna di queste indennità ammonta ad una cifra di gran lunga superiore a quella che viene corrisposta ad un operaio che, passa otto ore al giorno dinnanzi ad un altoforno nell'industria siderurgica.
Lungi da noi volere fare i conti  in tasca a chicchessia, ma quando gli introiti provengono da incarichi ottenuti attraverso l'attività politica, un tantino ci vien la mosca al naso.
E siccome siamo certi che il nostro signor Sindaco non è il solo a trovarsi in questa condizione: dalla sua situazione possiamo trarre l'esatta percezione dei costi spaventosi che la politica comporta.
La questione centrale è che in molti casi il raggiungimento di una posizione politica retribuita, non scaturisce da un genuino interesse per la cosa pubblica, ma è generato da una sorta di inquinamento dell'impegno politico: costituito dall'indennità. In questi casi non si riesce a capire se si è mossi dalla voglia di mettere in pratica le proprie idee, in altri termini il proprio credo politico, o dalla voglia di riempirsi il portafogli.
Da quando è stata introdotta l'indennità non si ricorda un solo caso di amministratore che vi abbia rinunciato; per la verità vi rinunciò il Presidente del Consiglio in carica durante la sindacatura di Angela Vecchio. Persona onesta e per bene, che ritenendo di ricavare a sufficienza di che vivere dal suo lavoro: con atto di grande generosità e alto senso civico, rinunciò all'indennità. Mentre oggi abbiamo uomini politici che, per le molteplici cariche che ricoprono, ne percepiscono più di una: ritenendo la cosa normale.
Il nostro signor Sindaco rientra in quest'ultima casistica, egli percepisce diverse indennità e non gli è mai venuto lo scrupolo di ritenere che, a quella percepita dal comune economicamente disagiato da lui amministrato, avrebbe potuto rinunciarvi: lasciandola nella disponibilità dell'Ente.
Chissà, se anche per un solo istante, hanno mai immaginato il signor Sindaco ed i suoi assessori, nonchè il Presidente del Consiglio, quante cose si sarebbero potute realizzare con le indennità di carica da tutti loro percepite?
Quanti cittadini in difficoltà avrebbero potuto aiutare, chissà di quanto avrebbero potuto alleggerire la pressione fiscale, e cosi via dicendo.
Ma si sa che non tutti hanno la sensibilità civile di comprendere che nei momenti di difficoltà economica, come quella che viviamo attualmente, la parsimonia nell'uso del denaro pubblico è la più grande virtù che un uomo politico possa praticare.
Purtroppo in questo momento tutto il ragionamento di cui sopra è inutile, perché se rapportato all'attuale classe dirigente diventa un mero esercizio retorico, ozioso e privo di effetto; principalmente considerando,  che i nostri amministratori osservano rigorosamente, e quindi lo praticano, il famoso detto nostrano “senza sordi non si canta missa”: e noi siamo sicuri che al richiamo del vil denaro, nessuno di loro sia capace di sottrarsi.



venerdì 22 gennaio 2010

A PROPOSITO DI RECUPERO E VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI.

Da semplice cittadino randazzese, e non so quanto veramente valga la pena definirsi così. ( Un tempo al solo pronunciarlo fuori dalle nostre mura e dal nostro territorio si veniva guardati dagli ” altri “ con un senso di stima, di rispetto e forse anche di invidia nei confronti della città di cui si era figli ). Randazzo era Randazzo, e sottolineo era “, LA CITTA’ “, con la sua storia, le sue tradizioni, la cultura, la maestosità e unicità dei suoi monumenti e delle sue opere d’arte, anche se mutilata in tanta parte dagli eventi bellici e ancor di più dalla mano vandalica di molti suoi cittadini.
Non starò qui   ad    elencare   tutte   le    grandi       opportunità,  i cosiddetti    “ Treni “, che in oltre sessant’ anni si sono persi e che oggi avrebbero consentito a noi tutti, e domani ai nostri figli, di vivere in una cittadina a misura d’uomo senza la necessità, forse, di dover elemosinare, ai vari “ Politicanti “ di turno, una sistemazione o un posto di lavoro. Tanti ne sono passati di questi treni e noi anzicchè prenderli non abbiamo trovato di meglio, quando si fermavano, che caricarvi un po’ della nostra “ roba “ e spedirla altrove.
Ma non è di questo che voglio parlare, quel che si è perso, si è perso, e non tornerà più indietro. Come giustamente dicevano i nostri anziani “ Cianciri u mortu su lacrimi persi “. Voglio invece soffermarmi su piccolissime e banalissime cose che, forse perché tali, non vengono neanche prese in considerazione dai nostri “ solerti “ Amministratori, Consiglieri e Storici di turno. Eppure si tratta di cose che non comportano spese enormi, certamente non sostenibili dal nostro disastrato e disgraziato Comune, ma che ci consentirebbero, se non di recuperare, almeno di non perdere del tutto parti di quel poco patrimonio artistico e monumentale che ci è rimasto e che continua, per non curanza, ad andare in malora.
Caro Sig. Sindaco e caro Assessore ai Beni architettonici, per quello che successivamente elencherò basterebbe solamente un po’ di buona volontà, quella che purtroppo vi manca, e solamente qualche decina di euro. Avete capito bene . . . . non decine di migliaia di euro, ma decine di euro.
Volendo ritornare al famoso programma, così scriveva il nostro Signor Sindaco parlando del centro storico e dei beni architettonici:
“La riqualificazione e la valorizzazione del nostro “Centro Storico” sono subordinate ad un’analisi dettagliata del contesto territoriale ed al rilievo critico delle risorse locali.
. . . . . . . . . . . . La proposta ha lo scopo di integrare, entro i vincoli della tutela, la valorizzazione del patrimonio con la promozione dell’offerta turistica, secondo i seguenti obiettivi:
. . . . . . . . . . .
assegnare visibilità a tutti i beni culturali e naturali in un sistema organizzativo unitario;
. . . . . . . . . . . .
continuare nell’opera di recupero e riqualificazione del tessuto urbano medievale, attraverso la sistemazione di altre strade e viuzze.”
Ma a quanto pare se ne è scordato, ha altro a cui pensare. Ad ogni buon conto saremmo anche disposti a giustificarlo, visto che di queste “ cosucce “ si dovrebbero occupare i “ grandi uomini “ che a ciò sono stati delegati e di cui si è attorniato. Ma forse anche questi hanno altro a cui pensare: devono fare politica, scrivere, preparare convegni, partecipare a riunioni e manifestazioni, insomma  rendersi. . . . visibili, in modo che la storia cittadina, un domani, possa annoverarli tra i suoi figli prediletti. Nel frattempo però ciò che resta dei nostri amati monumenti và in malora e continua inesorabilmente a sgretolarsi. Strano che il Sig. Sindaco non chieda conto di quanto venga fatto in relazione alle deleghe e agli incarichi dati. Vorrei ricordare allo stesso, se se ne fosse dimenticato, che quando arriverà il tempo, gli elettori il conto lo presenteranno a Lui e non ai suoi    “ solerti collaboratori “, che nel frattempo si sono fatti i ….. azzi loro.
Ma torniamo alle poche decine di euro che consentirebbero di salvaguardare e di non far ulteriormente deteriorare un bel po’ di monumenti.
Mura di cinta:
E’ noto che le erbacce provocano lo sgretolamento continuo della malta che tiene unite le pietre che le costituiscono. Basterebbe togliere tali erbacce un paio di volte all’anno e risistemare le poche pietre mancanti. Se non erro il Comune è opportunamente attrezzato per tali lavori.
Porta Aragonese:
Gli spalti sono sempre ricoperti di erbacce che nascondono anche i faretti sistemati qualche tempo fà, non consentendo neanche la proiezione della luce.
Piccoli lavori di manutenzione alle chiesette sconsacrate:
E’ una vergogna vedere come continui a marcire la porta di ingresso in legno della chiesetta di San Vito, la più antica rimastaci. Sarebbe bastato tinteggiarla con olio di lino si e no ogni due o tre anni ed essa sarebbe ancora li in bella mostra. Per non parlare poi del bidone di spazzatura sempre presente nei pressi della chiesa, . . . una vergogna!
La stessa cosa dicasi, relativamente al muro che dà sul lato della nazionale, della chiesa del Signore della Pietà, o del portale di ingresso della chiesa di San Bartolomeo.
Finestra in arenaria di Piazza della Basilica:
Nel corso dei secoli gli agenti atmosferici hanno completamente sfaldato soprattutto i blocchi alla base della finestra, che rischia di crollare. Della sabbia gialla mista a malta bianca e cemento, opportunamente dosate, ripristinerebbe la parte sgretolata della base della finestra, salvando un esempio mirabile di arte   del cinquecento. ( Un lavoro più mirato e duraturo, quale la sostituzione delle due pietre alla base, sarebbe più auspicabile ).
E così via dicendo.
Si tratta, caro Sig. Sindaco, di piccoli interventi mirati che lo stesso personale del comune, con un po’ di oculatezza, potrebbe effettuare con il costo di qualche decina di euro di materiale solamente.
                                                                     Manicola d’oro





martedì 19 gennaio 2010

APOLOGO DELLA FRAGILITA' DELLA VIRTU'


                                         (Fumetto estetizzante)
QUEST'APOLOGO della fragilità della virtù, anche negli uomini di sana dottrina e gran devozione, cercherò di trascriverlo dalla memoria, come lo sentii raccontare da uno studioso di storia patria, che lo aveva trovato in un antichissimo manoscritto, da lui interpretato, essendo questi un valente paleografo.
In un grotta detta “Burrò”, alla falde dell'Etna, nei pressi di Randazzo, viveva, al tempo degli anacoreti un eremita di straordinaria pietà, di meravigliosa saggezza, di esemplare continenza. Da trent'anni, se ne stava sulla montagna, pregando e meditando, poco sensibile al freddo e al caldo. Non si cibava di lucertole, ma di quattro fichi secchi, portatigli, si diceva, quotidianamente da un corvo. Beveva l'acqua salmastra di un pozzo abbandonato. Era ammirato e onorato da tutti, in special modo dagli altri anacoreti. Aveva nome Agathos.
Il demonio, sempre in agguato, vedeva con malumore il fiorire di tanta virtù. E decise di farla finita col sant'uomo. Convocò una ventina tra diavoli e diavolini, e disse loro: “Andate sulla montagna e tormentate quel noioso personaggio. Voglio che si prosterni davanti a me e che mi adori”. Ad un cenno dell'antico avversario, i diavoli se ne andarono in ben ordinata schiera qualcuno facendo trombetta di quello che già sapete. Presso la grotta di Agathos, inscenarono una splendida apparizione. Dal pozzo rovinato uscì, nel chiarore della luna, Venere, nuda e scapigliata, gli occhi languidi e le labbra cariche di voluttà, proprio come l'aveva raffigurata il Botticelli. Accanto a Venere, sette adolescenti ballavano, agitando sistri e tamburelli. Venere sorridente apriva le braccia candide, come volesse stringersi al petto la testa del vecchio Agathos. Ma questi, senza guardarla nemmeno, continuava a pregare e a meditare. I demonii si ritirarono su un poggio vicino, per tener consiglio. “Siamo stati sciocchi”, disse il più anziano. “Le delizie della carne non sono fatte per commuovere un uomo di questa specie. Bisogna provare altra cosa”. Appare, accanto all'anacoreta, un corteo di servi portando ciascuno, o roba mangereccia di rarissima specie o anfore di vini preziosi; c'erano i piatti più deliziosi che gli uomini non conoscevano ancora, ma che i diavoli tenevano in riserva per la perdizione del genere umano: i blinys scottanti, serviti sopra un fornellino d'argento, sui quali un ragazzino paffuto spargeva il caviale grigio a larghe cucchiaiate, mentre un altro li annaffiava con crema agra e burro fuso; c'erano, circondati da tartufi del Périgord, quaglie ripiene dì fole gras... e in cestini d'oro, i frutti più delicati della terra, dalle ciliege di Pistoia ai fragolini di Nemi, dalle pesche della Persia, ai mangostani dell'India, alle arance della Sicilia. Agathos non si commosse, neppure quando un inserviente gli mise sotto il naso una coppa di onice piena di quel vino dolce di Marsala, di cui riconobbe il profumo, e che pur gli era, piaciuto nei tempi della lontana giovinezza. Per la seconda volta dovettero battere in ritirata. E l'anziano disse: “Era da prevedere che nemmeno questo sarebbe riuscito. Per masticare quelle cose prelibate, quel vecchione non ha denti, e non ha nemmeno lo stomaco abbastanza forte per digerirle.
Facciamo dunque un altro tentativo. Forse riuscirà”. Ed ecco incamminarsi verso la grotta un personaggio dal viso solenne, seguito da arcieri vestiti di pelle di leopardo, da guardie recanti lance altissime. L'uomo importante, avviluppato in un mantello di seta cremisi, s'inchinò davanti ad Agathos dicendogli : “il re dei Nasoni è morto lo scorso mese, all'età di centodue anni. I suoi figli morirono prima di lui, e i suoi nipoti non pensano se non alle cacce, alle giostre, a far baldoria con le donne. Il popolo non vuole essere retto da costoro. Facendo incidere il tuo nome, Agathos sulla soglia del tempio più alto, il re ti ha designato come suo legittimo successore. Se ti degni di accettare il diadema d'oro e il globo di zaffiro, sarai il nostro nuovo re e ti condurremo sotto quella scorta nella nostra capitale. Il paese dei Nasoni è vasto e, ancorché circondato da montagne da ogni parte, rigurgita ricchezze e i suoi limiti sono compresi tra i monti di cristallo e i monti della luna “. Agathos, questa volta, ringraziò cortesemente l'uomo dal viso solenne, e si scusò di non poterlo seguire, avendo fatto il voto di consacrare i suoi ultimi giorni alla preghiera, alla meditazione e alla devozione per il beato Domenico Spatafora da Randazzo.
Vinti, umiliati e temendo un meritato castigo, diavoli e diavolini si misero in marcia, questa volta senza trombetta, per riferire al principe delle tenebre l'insuccesso della loro missione Questi si contentò di sorridere, alzando le spalle. “Siete diavoli autentici, i poveri diavoli” , disse. “Tornatevene al più presto all'Inferno, e lasciate fare me. Da solo, voglio sbrigare quest'affare.”. Allora, dopo la partenza dei diavoli, Lucifero andò a truccarsi da vecchio eremita. Vestì un saio usato e sudicio, si fece crescere una lunga barba canuta, e aiutandosi con le due mani all'alto e nodoso bastone, si avvicinò penosamente alla grotta. Agathos interruppe la sua preghiera, e invitò il visitatore a sedersi. Gli offrì anche uno dei suoi fichi. L'altro accettò; ma prima ancora di gustarlo, disse ad Agathos con voce dolce: “Hai saputo la notizia? nostro fratello Ernestus Alfonsus Pirainensis, quello che sta lì in fondo alla valle in contrada Vallebruna, è stato eletto Sindaco di Randazzo”. Vi fu nel cielo un grande lampo, e un terribile colpo di fulmine impedì sentire l'orrenda bestemmia proferita dall'anacoreta Agathos. Lucifero, sbarazzatosi del saio e della truccatura, si era drizzato, e appariva quale è, raggiante nel suo abominevole trionfo. I capelli neri percorsi da fiammelle azzurre, il volto scuro rischiarato dagli occhi di bragia ardente, le dita in forma di artigli d'aquila: spaventevole, quasi divino, il più bello degli angeli, come sta scritto. Ai suoi piedi, Agathos si prosternò e lo adorò.

Nota dell'autore: il nome Agathos è stato scelto perché si riferisce all’attributo con cui i Greci erano soliti indicare l’uomo ideale e cioè kalos kai agathos (che in greco antico significa bello e buono).

                                                                           Rosso di Sera

sabato 16 gennaio 2010

UN "MAESTRO"

Il professor S. era un ometto dagli occhi verdi, piuttosto basso e corpulento, con un grigia raggiera di capelli fra le tempie e la nuca. Portava sempre giacche fuori moda. Tre volte la settimana, dalle nove alle tredici avevamo con lui quattro ore di italiano, storia e geografia. Il professor S. era un brav'uomo, un onesto insegnante, e ci amava sinceramente. Nulla, in tanto tempo, aveva mai alterato la sua fondamentale bontà; e per quanto la sua vita trascorresse in maniera monotona, grigia, destreggiandosi tra cruente battaglie, ove si fronteggiavano due antichi ed irriducibili nemici: il professor S. e lo stipendio.
Non era un segreto per nessuno che il professor S. aveva alle spalle un nutrita schiera di figli, una moglie ammalata, e pane con infrequente companatico. Tutti sapevano pure, che il professore, anziché naufragare nell'accogliente porto di una casa tranquilla, veleggiava di lezione privata in lezione privata, trascinandosi dietro, fino a sera, irrequiete torme di galli, puni, teucri, eccettera.
Quando la sirena suonava mezzogiorno, lui diceva: “è ora della ricreazione, potete andare”, poi tirava fuori dalla borsa un panino con dentro una fettina di mortadella sottilissima e mezza mela. Così denutrendosi dalle dodici alle dodici e cinque, condiva il tutto con ampie raffiche di sigaro, che non abbandonava nemmeno in quei mangerecci frangenti della sua giornata.
Ma tanti anni son passati; il mio vecchio istituto per periti commerciali (ragionieri), è ormai logoro, abbandonato, quasi cadente, e se qualche volta mi capita di passare da quelle parti giro al largo, per paura che esso mi risorga dinanzi e mi chieda conto di come male ho impiegato la mia esistenza. E dinanzi ai tremendi, cari retori del passato mi manca sempre il fiato, mai so che cosa opporre, mi sento in colpa e a disagio.
Niente di più imprevedibile dell'apparizione che ieri mi è sorta per la strada, mentre camminavo lungo la via Etnea a Catania. E niente di più tenero, insieme.
Ci siamo riconosciuti subito, io e il rattrappito vecchietto, che mi è saltato al collo, mi ha baciato sulle guance.
“Sei ancora vivo, grazie a Dio, sei ancora vivo”, dice il professore S., fra patetiche lacrime.
“Si professore siamo ancora vivi”, rettifico.
Poi mi chiede tanto della mia vita e della mia famiglia, ed io senza reticenza alcuna soddisfo la sua voglia di conoscere le cose e persone che costituiscono il mio mondo.
Alla fine torna a baciarmi sulle guance, con carità cristiana; mi dice di andarlo a trovare, e se ne va : un passo lento, strascicato, e quel fumogeno sigaro dietro, una scia densa, che ben conosco e mi riporta agli anni della mia giovinezza.

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A casa, vorrei dire ai miei figli:
“Toccate questa mano che è ancora calda della stretta d'un maestro col fumo del toscano e con le guerre peloponnesiache; in compenso insegnò a me e ad altra gente della mia generazione la quotidiana dignità di un panino vagamente imbottito con la mortadella”.
Ecco: questo e altro vorrei dire ai miei figli, ma non oso. Come peccare di un così sfacciato, antiquato e patetico deamicisismo, in un'epoca che sforna gente spregiudicata, tanti disinvolti buffoni e impostori? E poi, diciamo la verità: fra tanti autodidatti, populisti, ruffiani, arricchiti e vagamente analfabeti, quale importanza avrebbe più un ridicolo e umile “maestro” che beccava pane e mortadella.
                                                                             Rasputin

venerdì 15 gennaio 2010

L'EX CINEMA MODERNO E LA SVENDITA DEI BENI COMUNALI.


A sentire i discorsi del nostro Sindaco in campagna elettorale, si poteva tranquillamente dedurre che la ristrutturazione del cinema moderno fosse cosa semplice e di immediata fattibilità. Se non ricordiamo male, disse allora il signor Sindaco, che aveva ricevuto rassicurazioni sulla esistenza del finanziamento e pertanto si trattava solo di richiederlo.
Era talmente sicuro di ciò che sosteneva, da inserire nel programma la ristrutturazione dell'ex cinema e, con la disinvoltura di chi ha solo certezze, spiegava in maniera dettagliata l'uso che ne avrebbe fatto, scrivendo sotto la voce - CENTRO CULTURALE POLIVALENTE quanto segue: “Bisogna offrire maggiori opportunità di incontro per i cittadini, soprattutto per i giovani e gli studenti, realizzando una sede per favorire lo sviluppo della vita intellettuale. Daremo una forte accelerazione per la ristrutturazione dell’ex “Cinema Moderno” (già finanziato dal Prusst Valdemone). Aperto a tutte le realtà ed esperienze, il nuovo Centro Culturale Polivalente dovrà essere dotato di adeguati dispositivi per le rappresentazioni teatrali e cinematografiche e per il turismo congressuale.”.
Ora, in questi quasi due anni di governo della città, il nostro signor Sindaco non ha più parlato di ristrutturazione dell'ex cinema moderno. E deponendo le certezze con grande baldanza a suo tempo sostenute, ha riposto il progetto nel grande magazzino del dimenticatoio, insieme a tante altre roboanti e sconclusionate idee: date in pasto ai votanti durante la campagna elettorale.
Allora le cose sono due: o la rassicurazione data era fallace; oppure era solo una di quelle cose che, si dicono e si scrivono per carpire il voto agli elettori; nella speranza che in seguito nessuno se ne ricordi più.
Viene da pensare ai tanti giovani, che avendo confidato nelle parole dette e scritte, speravano di vedere realizzato, presto, un bel cine-teatro come quello esistente nella vicina Bronte: e invece nulla.
Del resto nulla più si sa del finanziamento; nulla si sa che fine abbia fatto progetto, proprio nulla di nulla. In altri termini campa cavallo che l'erba cresce.
Addirittura si sussurra che, il detto immobile, potrebbe essere, quanto prima, inserito nell'elenco dei beni alienabili.
Riteniamo che se qualche amministratore avesse in testa una mezza idea di tal genere, farebbe bene a togliersela subito, perché la popolazione, soprattutto quella giovanile, di certo non gradirebbe.
Ma poi, non si riesce a comprendere l'ottusa determinazione nel volere usare il finanziamento del progetto denominato «Crescere nella Legalità», del quale abbiamo già ampiamente parlato, per la ristrutturazione di un edificio non di proprietà comunale (ex G.I.L.), mettendo per tale ragione a serio rischio l'erogabilità del finanziamento. Mentre non vi sarebbe stato impedimento, se avesse fatto oggetto, nel suddetto progetto, la ristrutturazione e trasformazione dell'ex cinema moderno in centro culturale polivalente, così come promesso in campagna elettorale.
Comunque, il timore di una vendita o svendita non è affatto campato in area, considerato, che i nostri amministratori da diversi anni, per rimpinguare le casse del comune, hanno assunto la malsana abitudine di alienare quanto più possibile del patrimonio comunale.
Dicevamo, malsana abitudine perché assomiglia tanto a quello che avveniva un tempo in certe famiglie, di ormai decaduta nobiltà e facoltà economica. Le quali pur di mantenere il tenore di vita dei tempi floridi, alienavano il patrimonio di famiglia, fino a ridursi sul lastrico.
Certo la trovata è semplice; e non occorre grande intelligenza: se i soldi non ci sono, si fanno vendendo tutto ciò che è appetibile. Bell'esempio di finanza creativa!
Tra l'altro, queste vendite assomigliano ai saldi di fine stagione, quando a prezzi di realizzo si cede tutta la merce rimasta in magazzino pur di incassare quattrini. E' di questi giorni la vendita (o se vogliamo la svendita) del centro direzionale della zona artigianale di Murazzorotto, un fabbricato in ottime condizioni di circa 136 metri quadrati a piano, composto di due elevazioni fuori terra e con annessa corte di circa metri quadrati 1.000; il tutto per la modica somma di euro 63.450,00.
Se i calcoli sono giusti il manufatto è stato venduto per la cifra di euro 233,00 al metro quadro: quando solo il terreno su cui è realizzato, nonché quello annesso, ne varrebbero all'incirca euro 90,00 al metro quadrato.
Vedremmo, se tra qualche giorno ci capiterà di imbatterci nel nostro signor Sindaco, che, megafono in mano, come i venditori di un tempo, in giro per le vie della città, reclamizzi la vendita dei beni comunali al grido di :”Venghino signori, venghino, svendiamo tutto a prezzi di realizzo”.
A nostro avviso, un bravo amministratore è quello che sa trovare i finanziamenti presso gli enti che ordinariamente li erogano (Regione, Stato, Comunità europea e cosi via dicendo) e non quello che utilizza sistemi, che anche il più sprovveduto uomo politico non avrebbe difficoltà ad individuare e praticare.
Certo che roba da vendere ancora ce n'è in abbondanza, ma vogliamo sperare che con questa smania di vendere, vendere, vendere, alla fine, quando non resterà più nulla, non s'impegnino anche il deretano di tutti noi cittadini.

mercoledì 13 gennaio 2010

MODERNO FEUDALESIMO

Come i feudatari del medioevo, domani giovedì 14 gennaio 2010, verrà a Randazzo il senatore Pino Firrarello, accompagnato da suo genero il Presidente Castiglione. Viene per visitare un parte del suo vasto feudo che va da Bronte a Giarre e quindi comprende anche la nostra città. I vassalli, suoi plenipotenziari in queste terre, sono in fermento bisogna portare a Santa Caterina, luogo della riunione, quanta più gente possibile. Bisogna dare dimostrazione che il potere ricevuto e gestito frutta, ed allora vanno precettati i servi della gleba, perché nessuno manchi. Perché tutti facciano sentire al signore e padrone delle nostre terre l'affetto e la devozione che lo circonda.

Cosa importa se l'ospedale, la pretura e non so che altro sono stati accorpati con quelli di Bronte; cosa importa se il signore e feudatario, oggi indebolito dalla lotta contro il Presidente della Regione Raffaele Lombardo, non è in grado più di difendere lo stesso ospedale di Bronte (chiusura quanto prima dei reparti di ostetricia, ortopedia e urologia).
Ai vassalli Ernesto Alfonso e Francesco Paolo, non importa nulla di tutto ciò, essi sono stati ampiamente beneficiati con incarichi importanti, che producono ottime indennità, e questo a loro basta.
E i servi della gleba, quelli proprio sono un popolo di stakanovisti dell'applauso; anzi del “bell'applauso”. Le loro mani non sanno stare più ferme; quel che è peggio, agiscono a comando. Le loro palme sono ormai “spellate”, travolte da impulsi di incoscienza collettiva. Nessuno di loro sa fischiare, perché, forse, non hanno mai avuto l'abitudine al sibilo: siamo stati spogliati, completamente denudati e questi ancora sono presenti e applaudono. La cosa più tremenda è che, trovandosi in quel luogo, di fatto applaudono a tutto il brutto che ci viene quotidianamente ammannito. Il lezioso, il dilettantesco, l'improvvisato, la farsa della cultura, la parodia dell'intelligenza, tutto ciò è diventato materia di applauso.
Così i servi della gleba si sono trasformati in una sorta di claque, comandata dai due vassalli. Sembra tra l'altro che vivano in un perpetuo tempo infantile. Quando i nostri bambini cominciano a dare i primi segni del nascere della loro “coscienza”, noi vogliamo subito che essi comincino a comunicare con noi; una delle prime manifestazioni che pretendiamo da loro, è che si diano a “battere le manine”. Ma ora sono cresciuti, si sono fatti adulti, è da tempo che hanno smesso gli abbandoni all'enuresi, almeno teoricamente. In pratica devono continuare ad agitare le “manine”.
Se la Randazzo di oggi dovesse essere giudicata, fra cento anni o duecento anni, in base a certe immagini, dove una giungla di apologetiche palme appare impegnata nel suo ordinario lavoro di encomio, non so quale idea se ne farebbero. Forse quella di una città abbastanza felice, ma supremamente rimbambita, due estremi ugualmente distanti dalla realtà. In effetti non siamo felici e ne rimbambiti. Un po' anodini, piuttosto, e senza eccessivi ideali, anzi con un certa tendenza alla rilassatezza, all'indifferenza.
Sembra che l'anno nuovo ci abbia riportato il fischio e il nostro blog ne è l'esempio. Ci auguriamo che si espanda e rompa finalmente il nostro grossolano equilibrio basato sull'indifferenza; speriamo che la nostra azione non rimanga un'isolata intemperanza e diventi una misura di giudizio di un popolo rinsavito.


                                                                                           Rosso di Sera


sabato 9 gennaio 2010

UNA SCOMMESSA CHE AVREMMO VINTO SICURAMENTE.



Avremmo potuto scommettere qualunque cosa, perché eravamo certi che, il tratto di via Cairoli in rifacimento sarebbe stato asfaltato.
Denotando una totale mancanza di senso estetico e di rispetto per il centro storico, si è trasformata una sua via in una bruttura assoluta; trattandosi di una strada che ha per corollario una graziosa scalinata in pietra lavica, culminante nell'antica porta di San Giuseppe.
Volendo ritornare al famoso programma, così scriveva il nostro signor Sindaco  a proposito del centro storico: “La riqualificazione e la valorizzazione del nostro “Centro Storico” sono subordinate ad un’analisi dettagliata del contesto territoriale ed al rilievo critico delle risorse locali, allo scopo di impostare una politica di qualità, capace di risolvere i fattori di crisi.
Due gli aspetti fondamentali su cui si basa la nostra proposta:
1) inserire la gestione delle risorse culturali (architettoniche e naturalistiche) nelle strategie economiche e metterle a sistema con i principali fattori produttivi di crescita del territorio;
2) qualificare il rapporto pubblico-privato, per sviluppare tanto la qualità della fruizione e le prospettive di valorizzazione compatibile, quanto la partecipazione imprenditoriale e la cooperazione delle istituzioni sovracomunali.
La proposta ha lo scopo di integrare, entro i vincoli della tutela, la valorizzazione del patrimonio con la promozione dell’offerta turistica, secondo i seguenti obiettivi:
- elevare la qualità di vita dei residenti e qualificare la funzione residenziale;
- completare l’organizzazione della mobilità e dei parcheggi;
- assegnare visibilità a tutti i beni culturali e naturali in un sistema organizzativo unitario;
- valorizzare il commercio, l’artigianato e le attività compatibili con l’immagine e le funzioni complessive del centro storico;
- continuare nell’opera di recupero e riqualificazione del tessuto urbano medievale, attraverso la sistemazione di altre strade e viuzze.
Come sempre, quando leggiamo il programma elettorale del nostro Sindaco e poi lo confrontiamo con la realtà della nostra città, ci rendiamo conto di quanta verità ci sia nel detto nostrano “U parrari è arti liegia”. Perché, la cosa più banale che ci sia a questo mondo è predicare bene e razzolare male; cosa di cui tutti potremmo essere capaci, non ci vuole neanche l'impiego di quel minimo sforzo mentale, che anche gli esseri meno provveduti sarebbe capaci di compiere.
Adesso, si tratta di vedere se il nostro signor Sindaco vorrà trasformare il nostro centro storico in una “piccola giungla d'asfalto”, e siccome sapiamo che ne sarebbe capace; noi siamo seriamente preoccupati.
E' chiaro che il buon gusto estetico non è di tutti, pur tuttavia è difficile non accorgersi dell'orribile miscuglio di colori che caratterizza il fondo delle nostre strade. La via Cairoli parte da piazza Bixio asfaltata, si incrocia con la via Roma, lastricata con una pavimentazione color rosso quarzo smunto, ridiventa asfaltata fino in alto e senza soluzione di continuità si innesta nella via Fisauli: pavimentata anche questa con le mattonelle color rosso quarzo usate nella via Roma. Follie estetiche che farebbero rabbrividire anche il più sprovveduto degli esseri umani: cose che possono succedere solo nella nostra città.
La domanda sorge spontanea, perché spendere inutilmente tanti soldi per la realizzazione del “Giardino dei Finzi-Contini”, (la cosiddetta bambino-poli)? Impossibile trovare la risposta, se consideriamo tutto il pasticcio burocratico amministrativo che ne è venuto fuori, e l'infelice ubicazione in un sito assolutamente inadeguato; quando vi è l'emergenza strade interne, soprattutto nel centro storico: dove le riparazioni non possono essere effettuate in maniera raffazzonata o antiestetica.
Se è vero che il centro storico è il bene più importante che abbiamo, la sua conservazione, manutenzione e salvaguardia sono certamente le priorità assolute. Tutto il resto viene dopo. Perché è inutile andare in giro e riempirsi la bocca parlando di città d'arte, quando poi le strade del centro storico vengono asfaltate.
Ha mai visto, il signor Sindaco, nel centro storico di Taormina, Urbino, Assisi e via dicendo, strade asfaltate? Sappia che in una cittadina ben tenuta, l'asfalto lo si usa nelle strade extraurbane o al massimo nelle zone di nuova espansione.
Viene da pensare che quando si fanno convegni o si distribuiscono libri gratuitamente (il che significa che qualcuno li avrà pure pagati), cercando di magnificare la nostra città, non si vuole fare altro che gettare fumo negli occhi dei cittadini, e quel che rimane sono tutte chiacchiere, egregio signor Sindaco. Sterile, inutile e fastidioso chiacchiericcio di chi non sa che pesci pigliare.

IDEE STRAMPALATE.


Siamo alle solite, viviamo in una realtà che è fine a se stessa, siamo vittime della visione limitata dei nostri amministratori, priva di prospettive e incapace di leggere la realtà sociale che ci circonda. Non riusciamo ad uscire da un vizioso circolo mentale che ci riporta alla fine sempre al punto di partenza. E' la storia di sempre, nei programmi elettorali si scrive: “Utilizzando al meglio tutte le opportunità che vengono offerte a vari livelli dalle normative, l’azione amministrativa dovrà mirare al raggiungimento di migliori condizioni di vita per tutta la cittadinanza ed in particolare per i giovani in cerca di occupazione e per coloro che vogliono avviare o ampliare attività imprenditoriali. Bisogna infondere nei giovani il desiderio di riscoprire le attività della nostra tradizione che vanno gestite con un nuovo approccio imprenditoriale e con innovativi sistemi di marketing.”. Bei propositi, belle parole, complimenti. Ma dopo quasi due anni di attività amministrativa, l'azione formidabile sopra declamata, che avrebbe dovuto offrire fantastiche occasioni di crescita sociale ed economica per i giovani della nostra città, sembra essersi miseramente afflosciata.

Come nella più nefasta tradizione della politica nostrana, quando ci si rende conto che non si riesce a cavare il ragno dal buco e non si sa dove sbattere la testa, si fa quel che sempre si è fatto: con la mano stesa, come i mendicanti di un tempo, si va a chiedere un finanziamento per dei cantieri scuola.
E siccome i cantieri scuola sono come l'elemosina, che non si nega mai a chi ne ha veramente bisogno, i nostri amministratori sono riusciti a farsene finanziare sei.
E precisamente: Sistemazione Largo San Giuliano, Ripavimentazione viali Cimitero, Manutenzione della via Sangrigoli, dalla S.S. 120 a via Volta, Manutenzione straordinaria della via Caravaggio (dalla S.S. 120 a via Sangrigoli) e via Sangrigoli (da via Volta a via Tiziano) e Sistemazione tratto di via Aldo Moro.
Ora vogliamo sperare che uno strumento prettamente assistenziale, non venga contrabbandato come una cosa dell'altro mondo, stante che i cantieri scuola sono sempre stati concessi a tutte le amministrazioni che si sono susseguite nel tempo, dal dopo guerra ad oggi. Sono un mezzo di mera sussistenza; servono solo a lenire un grave disagio, che è il problema centrale del nostro vivere quotidiano, cioè quello occupazionale.
La madre di tutte le questioni che affligge la città, non si risolve con i proclami e neanche distribuendo ai nostri giovani i soldi per le sigarette. Ma creando situazioni occupazionali serie e stabili, che garantiscano una prospettiva di vita sicura e dignitosa.
Certo mi rendo conto che, per chi non ha nessuna occupazione, il cantiere scuola è meglio che niente, ma guai a ritenere che possa ridursi solo a questo l'azione nel campo occupazionale da parte degli amministratori.
Qui ci vuole ben altro. Ha un bel dire il signor Sindaco quando parla di campi da golf, che vuole realizzare nel nostro territorio, grazie ad un finanziamento che gli è stato promesso come immancabile e certo. Questo vuol dire che possiamo incominciare ad attrezzarci di mazze e palle, che, per la verità queste già ci girano sin da quando è stato eletto.
E ammesso che il finanziamento del campo da golf, non sia come quello del cinema moderno, che già avevamo in tasca e non ce lo siamo più ritrovati: forse avremmo il campo da golf. Inoltre considerato che Randazzo è una cittadina piena di ricconi sfondati, che amano questo costoso sport, creeremmo una situazione di sollazzo e divertimento per tutta la città.
Ma poi questi campi da golf quanti devono essere? Ne dovrebbe nascere di sicuro uno a Maletto; e poi è certo che il Senatore non vorrà essere da meno, e quindi ne nascerà uno anche a Bronte. Che abbondanza di campi da golf, tra l'altro qui da noi il progetto è facilmente realizzabile, perché potremmo fare un grande campo cittadino, usando le strade del paese che sono piene di buche di ogni genere, si tratta solo di farci crescere l'erba, cosa non difficile perché in molte strade già c'è, e pure in abbondanza.







venerdì 8 gennaio 2010

L'EPOPEA DI UN SANSEPOLCRISTA NOSTRANO.



In un tempo imprecisato dell'era fascista, in un Comune dell'entroterra siciliano, vi era un podestà, la cui identità non mi fu rivelata da colui che mi narrò questo curiosa storia. Quest'uomo di normale corporatura, con un visetto trafilato e un occhio strabico, si vantava di essere un fascista della prima ora. E forse lo era. Alle volte per legittimare questa sua primogenitura sugli altri pezzi grossi del partito aveva osato persino sostenere di avere partecipato alla marcia su Roma, ma la cosa aveva riscosso poco credito, pertanto si astenne dal ripeterlo in pubblico.
Di mestiere faceva il maestro come sua eccellenza amatissimo, la cui effige aveva fatto apporre in tutti i locali pubblici e la più grande la teneva in casa in bella vista, affinché chiunque vi si recasse potesse constatare il profondo attaccamento al fascismo e al suo fondatore cavaliere Benito Mussolini.
Era un uomo ligio al regime e alla sua dottrina, voleva che tutte le indicazioni fornite dal segretario del partito Achille Starace fossero eseguite alla lettera.
Se l'idiota segretario nazionale stabiliva l'abolizione del Lei e l'introduzione del Voi egli subito si adeguava e pretendeva che tutti facessero altrettanto.
Ogni sabato era il primo a presentarsi alle esercitazioni del premilitare, certo il suo fisico non gli consentiva di potere svolgere esercizi fisici che fossero di esempio e stimolo per gli altri. Aveva provato il salto della cavallina, ma invece di superarla vi era rimasto goffamente a cavallo, suscitando l'ilarità degli astanti. Del salto nel cerchio di fuoco non ne parliamo, non era neanche il caso di pensarci, soprattutto dopo la brutta figura rimediata con il salto della cavallina. Comunque egli presente in divisa con il fez in testa, gli stivaloni lucidi, aspetto marziale, come doveva essere di prassi, dritto, pancia in dentro e petto in fuori dava ordini a destra e a manca.
E se qualche ragazzino non era in ordine con la divisa o si distraeva durante gli esercizi erano legnate, perché cosi andavano forgiati i figli della Lupa: nell'ordine e nella disciplina; essi sarebbero stati i protagonisti, che guidati dalla infallibile Duce, avrebbero senza altro realizzato la grandezza dell'Italia Fascista.
Quando pensava alla funzione educatrice e formativa dei giovinetti che ogni sabato affollavano il luogo delle esercitazioni, il podestà provava un senso di profonda commozione e nello stesso tempo compiacimento per l'opera che stava compiendo, tutta rivolta alla grandezza della Patria e dell'infallibile suo condottiero.
Ora era antichissima tradizione in quella cittadina festeggiare in maniera solenne una santa di cui non ricordo il nome. La suggestiva manifestazione si svolgeva con una sorta di carro trionfale a colonna, in somma un fercolo abbastanza alto, denso di simbolismi e riccamente ornato con angeli in terracotta, vasi di fiori, specchi e altri ornamenti vari.
Era tradizione che alla fine della processione si dava, in maniera dissennata, l'assalto al fercolo e lo si spogliava di ogni ornamento, reputandosi fortunati quelli che fossero riusciti a portare qualcosa a casa come reliquia.
Nel giorno solenne il potestà, impeccabile in divisa da fascista, stava dietro a fercolo, e avendo adocchiato un vaso, lo tenne sotto mira per tutto il tempo del percorso.
Il guaio fu che lo stesso vaso era oggetto del desiderio di un prelato, il quale nella sua mente aveva già prefigurato il posto dove sistemarlo.
Capirete che alla fine della processione entrambi i personaggi si avventarono su l'oggetto del loro desideri. Ed essendo giunti contemporaneamente incominciarono a tirare chi da un lato e chi dall'altro. Entrambi non riuscivano a capire perché il vaso non veniva via, ma ci misero poco a capirlo ed allora il podestà si senti toccato nel suo onore di immaginario sansepolcrista e senza pensarci due volte, mollo di vero cuore un ceffone al mal capitato prelato contendente. Il quale stramazzò al suolo, più sbigottito che dolorante, perché mai si sarebbe aspettato un tale gesto davanti a tutto il paese.
Le storia si concluse male per il podestà, il quale si portò il vaso a casa, ma a seguito delle proteste della Santa Sede presso i vertici romani del partito, perse il suo posto e dovette rientrare nei ranghi.
Correva l'anno 1936 e visti i frequenti incidenti, ed in particolare quello increscioso sopra narrato, le autorità ecclesiastiche fecero cessare tale barbara usanza e non ci fu niente più per nessuno.

martedì 5 gennaio 2010

L'ANIMA BELLA.



(colloquio tra un elettore del PDL e un eletto con cariche istituzionali importanti)






“Se penso alla luna, al sole, agli spazi celesti..... Dottore diciamolo fra noi: tutto questo è molto bello. Io vi sento uno spirito di elevazione, in tutto ciò. Perché non dobbiamo elevarci? Mi dica dottore, se alzandoci materialmente non ci eleviamo anche spiritualmente. In me, vede, c'è qualcosa di ascetico, di mistico, non mi vergogno a dirlo. Io non sono di quelli che vivono con il naso schiacciato contro il muro. Secondo me dovremmo deciderci a toglierlo dal muro il naso, e puntarlo verso l'alto, lassù dove indubbiamente vive qualcosa di mistico di ascetico. Dico bene o dico male?”
“Bene”
“Ragioniamo e analizziamo dottore, nel 1985, mio cognato aveva nel portafogli le tessere di tutti i partiti: era democristiano, liberale, missino, socialista, socialdemocratico, eccetera eccetera. Aveva pure la pensione di invalidità, lui che non è stato mai ammalato e gode di ottima salute. Ora guardiamo in faccia la verità: di fronte allo Spirito Universale chi ha più meriti mio cognato o la sua cagnetta? La cagnetta non c'è dubbio. Dico bene o dico male”
“Bene”
“Embé , a me proprio questo fatto mi fa rabbia. Che c'è gente, a questo mondo, che non pensa che al proprio utile, al proprio particulare. Gente mi perdoni con il sedere a terra. Vede a me il particulare fa schifo, sarà forse perché io tendo all'Universale. Prendiamo Socrate e lasciamo perdere Machiavelli. A noi è Machiavelli che ci ha rovinati. Dico bene?”
“Benissimo”
“Si glielo ripeto. A me interessa Socrate, e se scavo scavo le dico che Platone non mi garba. E nemmeno Orazio mi è simpatico. C'è troppo vino in lui, troppo Falerno, troppo Bibendum Est, troppo epicureismo. E l'Anima? Me la trova, lei, l'anima in Orazio? Avanti me la trovi! Prima di rispondermi si ricordi che quello gettò lo scudo, giudichi da questo. Ora, io non sono un guerrafondaio, ma uno che butta via lo scudo mi insospettisce”.
“Dottore, qua due sono le cose che ci danneggiano nello spirito e nel morale: la libidine del denaro e la libidine del potere. Avanti dove stanno più gli spiriti di una volta? Mi faccia vedere dove stanno i Poeti e i Santi: se me ne fa vedere uno solo, io non parlo più, m'incateno i denti. Dico bene o dico male?”
“Bene”
“Grazie...Dottò, scusi se ora mi prendo questa libertà: lei che ha tante buone maniglie ed è la più alta carica istituzionale della città, potrebbe farmi un biglietto di raccomandazione per il signor Rossi, che è il presidente dell'Ato?”.

IN GIRO PER LA CITTA'

PIAZZA SAN PIETRO






PIAZZA SAN BENEDETTO


Nessun commento é necessario le immagini parlano da sole.

A UN CITTADINO CHE HA VOTATO PDL



Immaginaria lettera a un cittadino che ha votato PDL. Preciso che non vi è nessun nesso con la realtà, pertanto ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.




Egregio Signore,
non discuterò il voto che Ella ha dato al PDL perché, più che nelle querimonie e nelle polemiche, credo nella giustizia: in quella superiore giustizia capace di sistemare le cose in modo tale da coinvolgere, domani, tutta la cittadinanza, e quindi anche Lei, nei guai dei quali, oggi, io e la gente come me sembriamo le uniche vittime. So che Ella ha votato in quel modo, nella innocente presunzione di affidare le sue sorti e quelle dell'intera città ai paladini della libertà e del buon governo cittadino, ma commetterebbe una grave leggerezza se si sentisse partecipe, oltre che di una vittoria elettorale, anche di una Vittoria contro tutti i Mali.
Poiché La stimo, desidero metterLa in guardia dai guai che l'attendono e che Le illustrerò non su un piano astratto di presentimenti, bensì su quello delle esperienze di altri raccolte in giro. Naturalmente i guai saranno minori se Ella sarà prudente, conformista, adulatore e ipocrita. Ma supponiamo, invece, che un certo giorno si accorgesse di avere speso, con eccessiva fiducia il suo voto e osasse criticare il regimetto, magari in ufficio a portata d'orecchio dei suoi superiori.
In questo caso (che sarebbe gravissimo se Ella dipendesse da una qualsivoglia amministrazione comunale) si renderebbe presto conto che qualcosa intorno a Lei non va. Ella verrebbe subito retrocesso all'esercizio di funzioni secondarie a titolo di punizione.
Così le consiglierei nel caso Ella svolgesse una qualche funzione che incida sull'opinione pubblica randazzese, di essere cauto nell'illustrare gli eventi, tanto cauto da sfiorare le omissioni o le menzogne per sottrarsi agli strali del regimetto.
Sento il dovere di tranquillizzarLa su altri punti. La questione del moralismo del PDL per esempio. Se la televisione, infatti, l'obbligherà a vedere donne intabarrate e a udire cronisti televisivi noiosi e allineati, Ella potrà trovare giusto sfogo alle sue curiosità intellettuali dedicandosi alla lettura dei libri di un autore nostrano, storico, filosofo ed intellettuale, di grandi speranze per la nostra città, ufficiale rappresentante della cultura istituzionale, per intenderci una sorta di responsabile del MINCULPOP locale.
Non mi dica per carità che con quelli del centro-sinistra sarebbe stato peggio, perché potrei risponderLe che fare peggio di così non è possibile, sarebbe, tra l'altro, una questione inutile ed oziosa, non potendo avere, per ora, la possibilità della controprova. Ma poi vede si da il caso che io non abbia mai auspicato necessariamente la vittoria dell'una o dell'altra parte, ma più semplicemente di uomini dabbene.
Sono pronto a riconoscere che uomini del PDL hanno meritato il consenso, ma temo che la forza del vertice e quella degli “intrallazzatori”, avranno ragione sul buon senso e l'onesta intellettuale dei pochi rimasti.
Come vede non Le ho parlato di argomenti patetici o retorici, ma di questioni pratiche, facilmente riscontrabili.
La presente è solo una semplice una missiva che forse per qualcuno arriva in ritardo, ma solo adesso ho potuto scriverla, stante che non è semplice essere un uomo libero, in un paese che si dice libero, e agire di conseguenza.
Cordiali saluti

                                                                                                   Un suo caro amico.



sabato 2 gennaio 2010

UN MEDICO ANTICO.


Seguendo per televisione alcuni consigli comunali ed in modo particolare gli interventi del nostro signor Sindaco e dei componenti la Giunta Municipale, ho la netta impressione che questi personaggi assomiglino sempre più al quel famoso medico antico.
Una volta un medico, andando a fare le sue visite, si conduceva appresso un apprendista per la necessaria pratica. Ma il medico era digiuno dell'arte sua; e l'apprendista era degno del suo maestro.
Un giorno il medico va da un ammalato. Inizialmente gli tasta il polso, poi inforcati gli occhiali, gli ordina di tirare fuori la lingua. Si china sull'ammalato gli osserva la lingua e come gliela vede appannata di mucosa vi passa e ripassa su il dito.
Il medico non sa capire di che si tratti. Vorrebbe ordinare all'ammalato: erba di ventu ogni mali havi abbentu.
Ma teme di fare cattiva figura e ordina un uovo a bere.
Allora l'apprendista, che fino allora era rimasto zitto, per far vedere la sua bravura aggiunge: Ma chi sia friscu (Che sia fresco però).
La storiella è semplice, l'allegoria contenuta esprime quello che abbiamo sostenuto in lungo e largo negli articoli precedenti: cioè la mediocre capacità della classe dirigente attuale.
Nel passato abbiamo avuto degli amministratori che certo non erano dei geni, ma conoscevano bene l'italica arte di arrangiarsi. E se pur tra mille difficoltà, e districandosi tra limiti culturali e politici di vario genere, riuscivano sempre a portare un qualche minimo risultato a casa. S'intende risultato utile per la città: ora il finanziamento per la zona artigianale, ora in finanziamento per l'acquisto del museo di storia naturale, ora il finanziamento per la ristrutturazione del castello-carcere e via dicendo.
Quelli attuali invece non vanno oltre la Provincia Regionale di Catania, dove l'amico Giuseppe Castiglione può tutt'al più inviare qualche spettacolo musicale o teatrale.
Mentre le stanze del potere che conta, cioè quelle della Regione Siciliana, restano chiuse a doppia mandata e pertanto inaccessibili per i nostri eroi.
E la ragione è semplice, facilmente intuibile. Il partito che governa la città è il PDL, sua espressione è: il signor Sindaco, la Giunta, il Presidente del Consiglio e la maggioranza tutta. Tutti sanno che il PDL randazzese è legato mani e piedi al Senatore Firrarello, attuale Sindaco di Bronte; tutti sanno della guerra senza esclusione di colpi tra il Senatore Firrarello (area Alfano) e il Presidente della Regione Raffaele Lombardo. Questo fatto da solo basterebbe a far capire perché i nostri politici non sono bene accetti a Palermo.
Per dimostrare quanto sopra è sufficiente riferirsi all'episodio del finanziamento per l'estate randazzese 2009, promesso dall'Assessorato Regionale competente e ancora atteso dai nostri amministratori.
Come se non bastasse i rapporti tra i nostri amministratori e il Presidente della Regione si sono ulteriormente deteriorati, allorché il nostro nostro Comune fu il principale artefice della mozione di sfiducia dei confronti del dottore Mario Zappia, quale presidente del consiglio di amministratore dell'Ato rifiuti "Joniambiente".
La buona azione fu compiuta dal nostro Sindaco per consentire l'elezione del nostro concittadino Francesco Paolo Rubbino a quella carica. In molti hanno potuto formasi la convinzione che il Presidente Lombardo non deve averla presa bene, stante che tiene molto al dottore Zappia, tanto da averlo nominato direttore generale dell'Assessorato Regionale alla Sanità.
Insomma per farla breve alla Regione Siciliana per il Comune di Randazzo non c'è trippa per gatti e che il buon Dio ce la mandi buona.

NON MOLLEREMO!

Iniziamo il nuovo anno con un proposito categorico, preciso e impegnativo: noi non molleremo. Continueremo la nostra azione di sensibilizzazione dell'oppinione pubblica cittadina. Questo è il compito di una forza politica di opposizione, che si realizza attraverso l'esercizio libero delle opinioni e la veicolazione delle idee.
Chi vorrebbe che tacessimo sa che questo non è possibile, la coscienza si ribellerebbe, le nostre idee non varrebbero più nulla, la nostra dignità di uomini e di cittadini risulterebbe svilita. Noi abbiamo il dovere morale e civile di esserci di contrastare, con la nostra umile azione, la causa principale dei travagli che turbano ed annichiliscono il vivere civile della nostra città. Causa che noi individuiamo nell'azione dei falsi pensatori, i fabbricanti di demagogie, i mistificatori di professione.
E' della buona filosofia civica, e perciò incentivo alla buona pratica sociale politica, quella che noi pensiamo di potere diffondere, dicendo pane al pane e vino al vino, senza riserve mentali, senza tentennamenti. Con tutto quello che siamo soliti chiamare il buono e il cattivo, con serenità e sincerità; anziché inventare un'immagine della realtà arbitraria, parziale, unilaterale, falsa; in definitiva, come appunto avviene a chi non sa pensare o, se pur lo sa fare, vuole, per i suoi fini reconditi e bassi, trarre i propri simili in inganno.
Qualunque operazione, anche se vincente, la quale parta e si fondi sull'inganno politico, come avviene ormai da troppo tempo nella nostra città, produce un inevitabile decadimento morale e culturale, una impressionante perversione della moralità pubblica e privata: in altri termini un abbassamento progrediente della dignità di ogni singolo cittadino.
Ora, tutto ciò sarebbe fatto per portare al disgusto, se la storia e l'esperienza personale, di chi ne ha vissuto un periodo sufficientemente lungo, non dimostrassero che tali andazzi, tali adulterazioni della realtà trovano sempre nei loro stessi eccessi i rimedi dei mali che producono.
Se riflettiamo bene ci accorgiamo che la storia stessa non è altro che il risultato del sopravvento della verità vitale, sulla menzogna teorica ed ideologica, devastante e umiliante.
Ne serve che in determinate circostanze di tempo e di luogo, l'inganno e la mistificazione possano assumere i contorni di un vittoria elettorale, anche con notevole scarto sull'avversario. Poco o nulla vale un inganno che possa falsamente rappresentare un trionfo sul vero e sui sostenitori di questo in apparenza vinti e sgominati: perchè basta un seme rimasto fra le rovine per rigermogliare, espandersi e riconquistare il terreno perduto, per il bene di tutti.
La nuova visione civica deve essere costituita dal sentimento dell'onore, culto del sapere e passione di giustizia e verità.
Noi crediamo che un centro-sinistra rigenerato, ricompattato, possa essere l'unica speranza per la città; l'unica via d'uscita dalla condizione di ottusa mediocrità che la cinge d'assedio. Condizione che è il portato dell'attuale classe dirigente, incapace e mistificatrice.
L'importante è dunque non mollare, mantenersi coraggiosamente ai propri vitali principi in attesa del giorno della riscossa, immancabile secondo l'ordine naturale delle cose; e ciò tanto più quando alle forze e alla virtù degli anziani degni d'esempio, si aggiungeranno quelle fresche e pure di una gioventù capace e determinata.
                                                                                                           Rasputin