giovedì 4 marzo 2010

LA MORALE DEL ROSPO.


Un esponente politico del PDL incontrò un giorno un rospo, si proprio un rospo, quell'animale utile, ma brutto, mite, ma ripugnante.
I poeti del decadentismo hanno trovato nel rospo l'immagine dell'orrido e, nel suo sgraziato verso, la voce d'un dolore profondo privo di seduzione, che ispira compassione e pietà. Dai versi di Victor Hugo alla prosa di Giovanni Papini il rospo ha ricevuto l'omaggio di una letteratura che cerca derelitti e infelici, in una pagina di Domenico Giuliotti, il rospo è addirittura anteposto all'armonioso usignolo, dice lo scrittore “Odio l'usignolo, amo il rospo”.
Ma veniamo al politico azzurro, il quale faceva del rospo questi pensieri: “nato da una pietra, vive sotto la pietra ed ivi troverà la sua tomba”. Poi alzò la pietra, lo vide e penso lo toccherei, ma poi disse rivolto all'animale: “Dio mio quanto sei brutto”.
Il rospo aprì la sua bocca puerile, sdentata, dall'alito caldo, e gli rispose: “ E tu?”.
Ecco la morale del brevissimo racconto.
Il rospo è brutto. E loro?. Il rospo è ripugnante. E loro? Il rospo è schifoso. E loro?. Anche sotto l'aspetto più dignitoso e decoroso; anche nell'apparente onorabilità della loro condizione, sono tutti molto simili al rospo.
La loro anima è viscida e bolsa come il suo corpo; la loro coscienza è rugosa e pustolosa come la sua pelle, i loro giudizi sono bavosi come la sua bocca. Se altri li potessero conoscere, come noi li conosciamo, susciterebbero in loro lo stesso ribrezzo e l'identica ripugnanza.
Ma sopratutto, quando giudicano e condannano, quando trovano che i loro avversari politici sono immancabilmente tutti rospi disgustosi, dovrebbero aspettarsi la risposta che il rospo gli diede “E voi?”
                                                                                      Rosso di Sera.

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