martedì 19 gennaio 2010

APOLOGO DELLA FRAGILITA' DELLA VIRTU'


                                         (Fumetto estetizzante)
QUEST'APOLOGO della fragilità della virtù, anche negli uomini di sana dottrina e gran devozione, cercherò di trascriverlo dalla memoria, come lo sentii raccontare da uno studioso di storia patria, che lo aveva trovato in un antichissimo manoscritto, da lui interpretato, essendo questi un valente paleografo.
In un grotta detta “Burrò”, alla falde dell'Etna, nei pressi di Randazzo, viveva, al tempo degli anacoreti un eremita di straordinaria pietà, di meravigliosa saggezza, di esemplare continenza. Da trent'anni, se ne stava sulla montagna, pregando e meditando, poco sensibile al freddo e al caldo. Non si cibava di lucertole, ma di quattro fichi secchi, portatigli, si diceva, quotidianamente da un corvo. Beveva l'acqua salmastra di un pozzo abbandonato. Era ammirato e onorato da tutti, in special modo dagli altri anacoreti. Aveva nome Agathos.
Il demonio, sempre in agguato, vedeva con malumore il fiorire di tanta virtù. E decise di farla finita col sant'uomo. Convocò una ventina tra diavoli e diavolini, e disse loro: “Andate sulla montagna e tormentate quel noioso personaggio. Voglio che si prosterni davanti a me e che mi adori”. Ad un cenno dell'antico avversario, i diavoli se ne andarono in ben ordinata schiera qualcuno facendo trombetta di quello che già sapete. Presso la grotta di Agathos, inscenarono una splendida apparizione. Dal pozzo rovinato uscì, nel chiarore della luna, Venere, nuda e scapigliata, gli occhi languidi e le labbra cariche di voluttà, proprio come l'aveva raffigurata il Botticelli. Accanto a Venere, sette adolescenti ballavano, agitando sistri e tamburelli. Venere sorridente apriva le braccia candide, come volesse stringersi al petto la testa del vecchio Agathos. Ma questi, senza guardarla nemmeno, continuava a pregare e a meditare. I demonii si ritirarono su un poggio vicino, per tener consiglio. “Siamo stati sciocchi”, disse il più anziano. “Le delizie della carne non sono fatte per commuovere un uomo di questa specie. Bisogna provare altra cosa”. Appare, accanto all'anacoreta, un corteo di servi portando ciascuno, o roba mangereccia di rarissima specie o anfore di vini preziosi; c'erano i piatti più deliziosi che gli uomini non conoscevano ancora, ma che i diavoli tenevano in riserva per la perdizione del genere umano: i blinys scottanti, serviti sopra un fornellino d'argento, sui quali un ragazzino paffuto spargeva il caviale grigio a larghe cucchiaiate, mentre un altro li annaffiava con crema agra e burro fuso; c'erano, circondati da tartufi del Périgord, quaglie ripiene dì fole gras... e in cestini d'oro, i frutti più delicati della terra, dalle ciliege di Pistoia ai fragolini di Nemi, dalle pesche della Persia, ai mangostani dell'India, alle arance della Sicilia. Agathos non si commosse, neppure quando un inserviente gli mise sotto il naso una coppa di onice piena di quel vino dolce di Marsala, di cui riconobbe il profumo, e che pur gli era, piaciuto nei tempi della lontana giovinezza. Per la seconda volta dovettero battere in ritirata. E l'anziano disse: “Era da prevedere che nemmeno questo sarebbe riuscito. Per masticare quelle cose prelibate, quel vecchione non ha denti, e non ha nemmeno lo stomaco abbastanza forte per digerirle.
Facciamo dunque un altro tentativo. Forse riuscirà”. Ed ecco incamminarsi verso la grotta un personaggio dal viso solenne, seguito da arcieri vestiti di pelle di leopardo, da guardie recanti lance altissime. L'uomo importante, avviluppato in un mantello di seta cremisi, s'inchinò davanti ad Agathos dicendogli : “il re dei Nasoni è morto lo scorso mese, all'età di centodue anni. I suoi figli morirono prima di lui, e i suoi nipoti non pensano se non alle cacce, alle giostre, a far baldoria con le donne. Il popolo non vuole essere retto da costoro. Facendo incidere il tuo nome, Agathos sulla soglia del tempio più alto, il re ti ha designato come suo legittimo successore. Se ti degni di accettare il diadema d'oro e il globo di zaffiro, sarai il nostro nuovo re e ti condurremo sotto quella scorta nella nostra capitale. Il paese dei Nasoni è vasto e, ancorché circondato da montagne da ogni parte, rigurgita ricchezze e i suoi limiti sono compresi tra i monti di cristallo e i monti della luna “. Agathos, questa volta, ringraziò cortesemente l'uomo dal viso solenne, e si scusò di non poterlo seguire, avendo fatto il voto di consacrare i suoi ultimi giorni alla preghiera, alla meditazione e alla devozione per il beato Domenico Spatafora da Randazzo.
Vinti, umiliati e temendo un meritato castigo, diavoli e diavolini si misero in marcia, questa volta senza trombetta, per riferire al principe delle tenebre l'insuccesso della loro missione Questi si contentò di sorridere, alzando le spalle. “Siete diavoli autentici, i poveri diavoli” , disse. “Tornatevene al più presto all'Inferno, e lasciate fare me. Da solo, voglio sbrigare quest'affare.”. Allora, dopo la partenza dei diavoli, Lucifero andò a truccarsi da vecchio eremita. Vestì un saio usato e sudicio, si fece crescere una lunga barba canuta, e aiutandosi con le due mani all'alto e nodoso bastone, si avvicinò penosamente alla grotta. Agathos interruppe la sua preghiera, e invitò il visitatore a sedersi. Gli offrì anche uno dei suoi fichi. L'altro accettò; ma prima ancora di gustarlo, disse ad Agathos con voce dolce: “Hai saputo la notizia? nostro fratello Ernestus Alfonsus Pirainensis, quello che sta lì in fondo alla valle in contrada Vallebruna, è stato eletto Sindaco di Randazzo”. Vi fu nel cielo un grande lampo, e un terribile colpo di fulmine impedì sentire l'orrenda bestemmia proferita dall'anacoreta Agathos. Lucifero, sbarazzatosi del saio e della truccatura, si era drizzato, e appariva quale è, raggiante nel suo abominevole trionfo. I capelli neri percorsi da fiammelle azzurre, il volto scuro rischiarato dagli occhi di bragia ardente, le dita in forma di artigli d'aquila: spaventevole, quasi divino, il più bello degli angeli, come sta scritto. Ai suoi piedi, Agathos si prosternò e lo adorò.

Nota dell'autore: il nome Agathos è stato scelto perché si riferisce all’attributo con cui i Greci erano soliti indicare l’uomo ideale e cioè kalos kai agathos (che in greco antico significa bello e buono).

                                                                           Rosso di Sera

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